Chi tutela la rendita frena il Paese

di Sergio Beraldo
Giovedì 26 Maggio 2022, 23:50 - Ultimo agg. 27 Maggio, 07:01
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L’Italia è un Paese dalla memoria corta; in alcuni casi cortissima. Una memoria corta che s’affratella all’indubbia capacità di godere l’attimo, come le pesche s’affratellano al vino. 

È del tutto normale, dunque, che in un periodo di vacche grasse e di spesa pubblica generosamente finanziata anche con i soldi dell’Unione, ci si dimentichi della goffa traiettoria che ha qualificato l’economia del belpaese negli ultimi vent’anni. 

Una traiettoria infiocchettata da crescita economica asfittica, bassa occupazione, ridotta attitudine all’assunzione dei rischi e grande desiderio di succhiare rendite. Magari dalla mammella pubblica; che, specie con gli amici, di qualsiasi colore, sa essere grassa e succulenta.

L’Italia è una Repubblica fondata sulla rendita. E fa specie che tante anime benpensanti, che s’infervorano per la sogliolesca - ovvero: piatta come una sogliola - dinamica delle retribuzioni, non si spingano a considerare che essa è anche la conseguenza di un siffatto stato di cose. 

Ora, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è molto preciso sul ruolo della concorrenza e sullo spazio che è necessario attribuirle. Tale precisione è una conseguenza necessaria della condizionalità che accompagna le risorse europee: soldi a patto di riforme che possano liberare il potenziale inespresso dell’economia italiana, che attualmente sonnecchia.

Quanto fosse difficile risvegliare la bella sonnecchiante era noto; e le resistenze che il governo ha incontrato per la messa a gara delle concessioni demaniali marittime con finalità turistiche, ovvero le concessioni demaniali a favore degli stabilimenti balneari, ne è una riprova. 

Com’è noto, tali concessioni, prorogate fino al 2033 dalla legge di Bilancio 2019, sono causa di una procedura d’infrazione a carico dell’Italia. La ragione è semplice. La direttiva Bolkestein, che mira a intensificare la concorrenza nel settore dei servizi, introduce il ragionevole principio in base al quale, nel caso in cui i diritti disponibili per l’esercizio di una determinata attività siano limitati, occorre applicare una procedura pubblica di selezione - una gara, cioè - per il rilascio di concessioni di durata limitata, non rinnovabili automaticamente. Nel caso delle concessioni a favore degli stabilimenti balneari, tale principio implica l’impossibilità di monetizzare avidamente la sabbia e il mare, senza che il timore di un concorrente imponga una qualche disciplina. 

La levata di scudi contro il governo da parte di alcuni partiti della maggioranza – anche quelli che si dichiarano liberali – e dell’opposizione fraternamente italiota guidata dalla Meloni, è una levata di scudi a protezione di una rendita insostenibile; una resistenza che s’è riflessa anche nella qualità dell’accordo raggiunto, che rischia di essere una presa per i fondelli per l’Europa e per il villeggiante medio italiano (categoria nella quale mi riconoscerò a breve, e che tento di difendere).

Come messo in evidenza dall’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica di Milano, le concessioni demaniali marittime sono, in Italia, circa 52mila, di cui 27mila a uso turistico ricreativo.

Queste ultime producono un gettito annuo di circa cento milioni di euro. Il canone medio per ogni concessione è inferiore, pertanto, ai quattromila euro. Un bel boccone, non c’è che dire, tenuto presente quanto il villeggiante medio paga per usufruire di un spazio che si riduce proporzionalmente alla calura, e aumenta progressivamente con la mescolanza inevitabile delle carni balnealmente esposte al solleone.

Cosa prevede dunque l’accordo di maggioranza? Intanto fino al 2023 tutto fermo. Poi si procederà a gara; ma si dovranno indennizzare coloro che perderanno la concessione. Le regole per l’indennizzo non sono state fissate. Ma non faranno riferimento, a quanto pare, alle rendite che i titolari di concessione hanno intascato nel corso degli anni. 

È stato però chiarito che, nelle gare, sarà previsto un riconoscimento per chi ha già avuto esperienza nella gestione di aree balneari. In altri termini, l’accordo che mira a instaurare la concorrenza, prevede, di fatto, una barriera all’accesso al mercato. Una perla. Un accordo che ritiene, con tutta evidenza, che a Bruxelles vi siano solo tecnocrati dementi.

La verità, elementare, è che bisognerebbe sbarazzarsi dell’attuale sistema, volto a concedere, a uso esclusivo dell’avidità privata, pezzi di costa, generalmente i più belli, di cui tutti dovrebbero poter liberamente godere. Come accade ovunque, al di là dei confini di una Repubblica fondata sulla rendita.
 

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