Chiaia, lo storico gestore: «Assediato da balordi e violenti. Addio movida, cedo i miei locali»

Chiaia, lo storico gestore: «Assediato da balordi e violenti. Addio movida, cedo i miei locali»
di Paolo Barbuto
Lunedì 20 Novembre 2017, 22:28
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Mescola rabbia e nostalgia, indignazione e richieste d’aiuto: Filippo Boccoli ha 56 anni ed è uno che ha saputo prendere a morsi la vita; eppure adesso sembra ripiegato perché, stavolta, non riesce ad essere padrone del suo destino come ha fatto per 56 anni filati. E alla fine della lunga e drammatica chiacchierata annuncia: «Io sono pronto a mollare tutto, a cedere e andare via. Questa non è più la notte che io immaginavo quando ho iniziato questa attività: io volevo lavorare per persone in cerca di divertimento, mi ritrovo nei week end accerchiato da feccia che cerca solo violenza».
L’annuncio della possibile resa sa d’amaro e di sconfitta ed è assolutamente inaspettato da un imprenditore come Filippo Boccoli. Intendiamoci, qui non c’è nessuna tentazione di beatificazione del personaggio perché il gestore non è tipo da mezze misure: c’è chi lo considera un punto di riferimento e chi lo guarda come se fosse la personificazione del demonio. Ma qui non si tratta di fare il tifo per l’una o per l’altra fazione. Ascoltare Boccoli è importante perché lui le notti della movida di Chiaia le conosce da quando non era ancora movida. Due locali, lo «Spritz» e il «66»; decenni di esperienza e un obiettivo che lui stesso, fino a un paio di anni fa, considerava raggiunto: «Aver portato a Napoli la stessa intensa e piacevole vita notturna delle grandi capitali d’Europa».
Ora, invece, quell’entusiasmo è stato cancellato: «Nelle sere dei week end mi guardo intorno e mi chiedo: chi sono queste persone? Dov’è la mia clientela?». Qui si scivola in una porzione del colloquio che può apparire forzata o razzista, ma va presa per quel che è, un racconto di vita vissuta: «Nella notte fra sabato e domenica per la prima volta in vita mia ho deciso di andare via prima della chiusura. Erano le due e ho provato una sensazione orribile di assedio da parte di feccia, di marmaglia, di gentaccia che stava in mezzo a quelle strade per distruggere, non per costruire una serata di divertimento». Così Boccoli s’è messo in sella allo scooter e ha cercato di attraversare il muro di persone: «Ho percorso venti metri in un quarto d’ora, come capita sempre in mezzo alla folla. Il dramma è che intorno a me sentivo parlare una lingua che non capivo. Non è uno scherzo né un paradosso: io non riuscivo realmente a comprendere quel che si dicevano fra loro quei ragazzi eppure ho vissuto in mezzo alla strada, la lingua napoletana la conosco a fondo. Riuscivo a capire solo gli sfottò “’o zi’ vatte a cuccà” (zio, come usano chiamare le persone adulte ma ancora troppo giovani per essere chiamate nonno, vattene a dormire). Mi sono allontanato con l’amaro in bocca. Quello non è più il mio mondo».
Prova a lanciare un appello, lo stesso che lanciò a febbraio, e prima ancora nell’estate del 2016: «Abbiamo bisogno di protezione, di tutela. Sapete nelle altre capitali del mondo come hanno fatto a garantire notti serene a chi vuole divertirsi? Con forze di polizia che controllano ogni angolo. Se stai lì a divertirti, a bere e chiacchierare con gli amici, gli uomini in divisa sorridono e cercano di diventare invisibili. Appena uno accenna un atto di violenza, intervengono, lo sbattono con la faccia per terra e lo ammanettano. Perché in tutto il mondo è possibile e qui a Napoli non si può fare?».
Il refrain è il consueto. Anche l’indicazione dei momenti più drammatici è ormai nota: «La feccia si riunisce in questa zona, nelle notti del week end, da mezzanotte alle tre del mattino. Tre ore per due giorni alla settimana, in tutto fanno sei ore: è possibile avere un po’ di tutela qui a Chiaia per sei ore?».
Boccoli comprende d’essere ripetitivo, forse non ha più voglia di dire sempre le stesse cose né di battersi per ottenerle. Pensa al futuro: «I residenti, con i quali spesso ci siamo fieramente scontrati, sostengono che il valore delle loro abitazioni cala per colpa della movida rumorosa e violenta, del caos. Ecco, sono gli stessi motivi che fanno perdere valore alle nostre attività. Per una volta siamo d’accordo pienamente. Ecco, io sto realmente pensando di mollare tutto, se domattina si presenta qualcuno a rilevare i miei due locali accetto immediatamente. La realtà è che non c’è nessuno disposto a imbarcarsi in questa storia perché c’è paura».
In certi momenti il discorso appare stridente e, nonostante la plateale amarezza del gestore, è necessario essere cattivi come impone il ruolo: scusi Boccoli, lei si lamenta tanto, ma alla fine non è quella che lei definisce «feccia» a portare introiti ai suoi locali nel week end? Boccoli respira per mantenere la calma, o forse sospira perché sa quel che sta per dire: «Quella gentaglia non contribuisce proprio a niente. Non entrano, non consumano, stanno per strada a fare casino e tengono lontani i nostri veri clienti. Quella feccia si mangia anche i guadagni dei giorni più importanti per noi. No, non c’è via d’uscita, ormai nei week end questa zona è diventata di loro proprietà perché lo Stato gliela concede senza nemmeno provare a far valere le sue regole. Ecco perché l’unica soluzione che vedo, oggi, è andare via da qui».
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