A Napoli ci sono tanti posti in cui puoi recarti ed avere una chiara percezione dell’assenza della cosa pubblica. Ma se questa assenza è in qualche modo prevedibile, ancorché gravissima e inaccettabile, nelle roccaforti della camorra, è invece sorprendente che si colga nei cimiteri, luoghi della memoria e del rispetto, circondati da un’aura di sacralità che li renderebbe solo per questo intoccabili. E invece le immagini pubblicate dal Mattino nei servizi di Paolo Barbuto hanno scoperchiato, per l’ennesima volta, il vaso di Pandora rendendo ormai evidente a tutti come i cimiteri napoletani - in particolare quello di Poggioreale - siano diventati dei “non luoghi” dove può accadere, e infatti accade, di tutto: furti e atti vandalici, cappelle violate e riempite di rifiuti che poi vengono incendiati, danni e cedimenti dovuti all’incuria e all’assenza di manutenzione, persino marmi sfondati e ossa di defunti in vista.
Uno scempio implacabile, animato da una furia nichilista che travolge tutto, comprese le tombe degli “uomini illustri”, rispetto al quale non viene posto alcun argine. Anzi, in questi fortini dove non ci sono regole la gestione è inquinata da infiltrazioni malavitose, da diffusi episodi di corruzione e radicati sistemi di clientele con ramificazioni che arrivano fino agli ospedali, divenuti terreno di spartizione tra le imprese del settore. Va così da sempre e nessuno ci fa più caso: la consuetudine diventa tradizione e ti convinci che nulla possa cambiare. Capita allora di dover scendere a compromessi persino per seppellire un amico o un familiare, o di dover telefonare al politico di turno per «far uscire il posto al cimitero».
Situazioni come queste succedono quando lo Stato, attraverso le sue articolazioni territoriali (Comune e Municipalità), non prova neppure a fare il proprio dovere, rinuncia in partenza, voltandosi pilatescamente da un’altra parte. All’ombra del Vesuvio da molti anni questa resa preventiva delle istituzioni l’abbiamo verificata con i fatti. Era il 2001, prima giunta Iervolino, quando a Palazzo San Giacomo fu annunciato con enfasi il piano di riqualificazione dei cimiteri cittadini. Un programma articolato di interventi che, nelle intenzioni del Comune, avrebbe dovuto produrre l’ampliamento di diversi camposanti e un generale miglioramento delle condizioni e della qualità degli spazi che accolgono i defunti. In quest’ottica venne lanciato dall’allora assessore competente, il compianto Paride Caputi, un project financing per intercettare investimenti privati da affiancare a quelli comunali. Ma in una realtà dove troppo spesso si fa impresa solo con i fondi pubblici il progettò stentò a decollare (a vent’anni di distanza l’unico obiettivo centrato è la costruzione del crematorio). Né si riuscirono a trovare soluzioni alternative che permettessero di portare avanti il piano senza l’intervento dei privati: sarebbe stata necessaria una visione che imponesse agli amministratori di considerare il rifacimento e l’ampliamento dei cimiteri come una delle priorità strategiche, da realizzare dunque ad ogni costo, e invece tale sguardo lungimirante mancò.
Il passaggio dalla gestione Iervolino a quella di de Magistris non ha prodotto cambiamenti rilevanti: si è andati avanti inseguendo e tamponando le emergenze, un’abitudine assai diffusa dalle nostre parti. Anziché concentrarsi sulla gestione ordinaria dei cimiteri per salvaguardarne la dignità garantendo servizi che in altre città, e non è necessario percorrere centinaia di chilometri per accorgersene, sono scontati, l’attuale amministrazione si è piuttosto distinta per aver prodotto una nuova, intollerabile emergenza: nei mesi scorsi il contenzioso tra due società concorrenti sull’appalto per le lampade votive ha infatti determinato, tra ricorsi e polemiche, lo spegnimento delle luci che accudiscono le spoglie dei nostri cari con il risultato che molte famiglie, pur avendo regolarmente pagato la quota annuale, si sono viste staccare la corrente. Come se non bastasse si consente inoltre che della pulizia e del decoro del Monumentale e del Nuovissimo (400mila metri quadrati) si occupino solo dodici dipendenti, perché manca il personale.
Eppure in questa terra martoriata, che da decenni convive con le emergenze, ci si è abituati a ogni malefatta, la rabbia e l’amarezza hanno lasciato il posto alla rassegnazione, l’assuefazione ha soverchiato lo stupore. Si è insomma inesorabilmente smarrito quel controllo civico che, quando tutto va in pezzi, rappresenta l’ultimo baluardo per sperare ancora in un cambiamento. Ormai non ci indigniamo più neppure quando vengono violati i nostri morti. E allora una comunità dove non c’è rispetto nemmeno per la memoria non può definirsi civile.
I cimiteri di Napoli, un oltraggio alla memoria
di Gerardo Ausiello
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Mercoledì 5 Febbraio 2020, 00:00 - Ultimo agg. :
07:23
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