Come si sciupa una buona idea

di Adolfo Scotto di Luzio
Lunedì 17 Luglio 2017, 23:22
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Doveva essere un’estate ricca di attività per la scuola italiana. Decine di milioni finanziati dall’Europa, migliaia di scuole, ottomila, pronte a presentare i propri progetti. Il ministero della Pubblica istruzione li avrebbe raccolti e selezionati. Tutto avrebbe dovuto essere pronto per giugno. Finito l’anno scolastico, i cancelli si sarebbero riaperti nei paesi colpiti dal terremoto e in migliaia di quartieri lungo tutta la penisola. Non accadrà. Il ministero non è stato in grado di espletare le pratiche in tempo. Le selezioni sono terminate solo due giorni fa e adesso partono i bandi. Se tutto andrà bene, le «scuole aperte» apriranno i loro cancelli a settembre e cioè quando l’anno scolastico sarà bell’e cominciato e dell’estate sarà rimasto forse il caldo ma per il resto solo il ricordo. I destinatari di questo progetto erano i bambini e gli adolescenti dei quartieri più poveri e più esposti al rischio della criminalità; italiani e immigrati ai quali non è concesso di andare in vacanza, il volto largamente inedito delle nuove periferie urbane del nostro Paese.

Il vertice politico amministrativo della scuola italiana è costituito da un branco di incompetenti. Privi di una qualunque idea di che cosa debba essere la scuola di un paese chiamato ad affrontare sfide politiche e culturali oltre che economiche di portata epocale, coloro che da viale Trastevere reggono le sorti del nostro sistema nazionale di istruzione mostrano per giunta di non averne nessuna voglia. Non c’è altra parola per definire la conduzione centrale della scuola italiana in questi anni se non sciatteria. 

Il ministero della Pubblica istruzione che in tempi ormai remoti fu retto da personaggi del calibro di Benedetto Croce e di Giovanni Gentile e che, ancora nella seconda metà del Novecento, è stato un attore decisivo della costruzione dell’Italia democratica, è oggi un luogo periferico, una serie di desolati corridoi dove alligna una burocrazia fiacca e demotivata retta da personaggi politici di secondo piano, privi di una qualunque competenza, e tuttavia sempre pronti, in una frenetica quanto inconcludente attività, ad inventare a spron battuto nuove idee di scuola che non servono a nessuno ma che alimentano il vasto catalogo delle melensaggini pedagogiche, delle astruserie didattiche, della pomposità propagandistica. Scuole 2.0 senza computer, progetti di insegnamento in inglese senza insegnanti madre lingua e che vampirizzano discipline fondamentali e che in un Paese serio si insegnano nella lingua nazionale. 

Ora è il caso delle «scuole aperte» con i cancelli desolatamente sbarrati.

Doveva essere la continuazione di un progetto che si pretende innovativo. Della scuola come istituzione comunitaria, al servizio della comunità. Spazio educativo che contende, soprattutto nei quartieri difficili, i ragazzi alla strada, ai suoi pericoli, alle sue tentazioni. Avrebbe dovuto essere tutto questo, ma non sarà. È insopportabile lo scarto tra la retorica insulsa e il marasma istituzionale, tra le parole vuote e le condizioni di fatto in cui versa il nostro sistema di istruzione. Ed è tanto più insopportabile questo scarto se solo si tiene mente al clima pensante, di ingiunzione burocratica che grava ormai sulla nostra scuola. Soggetti a mille, fastidiosissimi, obblighi, costretti ad ottemperare a tutte le nuove disposizioni che riguardano la valutazione, costantemente indicati come i responsabili principali del degrado dei processi di apprendimento, gli insegnanti italiani hanno, in questi anni, sostanzialmente accettato il nuovo quadro della governance scolastica. Eppure, mentre alla scuola si chiede sempre e a gran voce di accettare le nuove regole dell’accreditamento educativo, ministro, direttori generali e capi servizio di viale Trastevere non devono mai rendere conto a nessuno. Non ci sarà mai un Invalsi della burocrazia scolastica italiana che verifichi adempimenti e sanzioni errori clamorosi. Chi ne paga le conseguenze sono i ragazzi, è l’idea stessa della scuola come spazio della crescita personale, della formazione intellettuale e morale delle giovani generazioni. Chi ne paga le conseguenze è, soprattutto, il Paese che da molto tempo, ormai, non ha una scuola che sia in grado di leggerne la nuova stratificazione e di guidarne la complessa transizione sociale e culturale in cui è impegnato. In questo vasto fallimento a naufragare a rifletterci bene è un’ idea condivisa dell’Italia, di cui da sempre la scuola, come istituzione nazionale di prima grandezza, è stata l’architrave.


 
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