Napoli, un voto per la svolta: ecco i quattro big in corsa per la poltrona di sindaco

Napoli, un voto per la svolta: ecco i quattro big in corsa per la poltrona di sindaco
Venerdì 1 Ottobre 2021, 23:56 - Ultimo agg. 2 Ottobre, 16:57
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MANFREDI. Mite, silenzioso e studioso: può chiudere l’èra dei tribuni

Era partito malissimo, il professore, confessando prima la sua passione calcistica per la Juventus poi buttando benzina sul fuoco con la precisazione – toppa peggiore del buco - che lui vive a Nola, città bianconera. Un inciampo che ha poi compensato con lunghi silenzi, con studiate assenze, con una campagna elettorale condotta con le mani intrecciate sulla pancia, in difesa, in attesa spasmodica del novantesimo, del fischio finale. Facile immaginarlo, Gaetano Manfredi, in queste ultime ore, guardare l’arbitro e pensare: quando fischia? Col timore che, poi, arrivi nel recupero il gol dell’avversario (ballottaggio?) e si debba giocare altri quindici giorni. E chi ce l’ha il fiato? Consapevole di essere il favorito (può solo perdere), oppresso dalla sua ampia coalizione (tredici liste), messo in ombra da ministri e governatore, il professore doveva solo non dilapidare il suo vantaggio di partenza. E, nello schema ultra-difensivo, nel catenaccio della strana estate elettorale, ha saputo temporeggiare e incassare, senza cadere mai in nessuna provocazione, scegliendo il profilo più basso che poteva, alieno ad ogni vanità personale, lontano da qualunque narcisismo, quasi infastidito di leggere il suo nome sui rarissimi manifesti. Ha fatto una campagna elettorale magra come lui, l’ex rettore della Federico II. Si è visto poco, ha parlato anche meno. Lo stretto necessario. Ha disertato i confronti, peraltro pacifici, quasi soporifici. Ha camminato un po’ per le strade, ha fatto più convegni che assemblee, nessun comizio. Non si ricorda una sua sola frase a effetto. Non ci sono promesse. Non ci sono slogan. Nei capannelli sembrava un passante. Accanto a De Luca, l’altro giorno, nella passeggiata a Chiaia, a un certo punto si è mescolato alla folla, e alcuni hanno temuto che il professore ne approfittasse per far perdere le sue tracce. Un paio di conferenze stampa, e poi qualche video sui social, nel tentativo disperato di togliersi di dosso la pesantezza crepuscolare, l’abito grigio, le lenti da studioso, negli occhi i tanti libri letti, i capelli già troppo bianchi per chi non ha ancora nemmeno sessant’anni. Ma ogni tentativo di empatia – un video per la musica, un altro in cui racconta la sua passione per il cinema - è franato su quel volto rigido, da giovane marmotta, su quelle giacche larghe, su quella cravatta sempre dello stesso colore, su quella magrezza sempre più pronunciata. Hai voglia a dire sono rock, se perfino quando sorridi sembri il direttore dell’ufficio postale. Ma chi lo conosce sa che dietro la timidezza di Manfredi, dietro quella sagoma da uomo qualunque, come spesso succede ai miti, c’è molto, molto di più. C’è studio, c’è determinazione, c’è carattere, c’è intelligenza, c’è dedizione al lavoro. C’è soprattutto una grande capacità relazionale. Carattere amabile, Manfredi è ben voluto da tutti. Non ce n’è uno che ne parli male. Felpatissimo consigliere nel 2008 dell’ex ministro Nicolais – dal temperamento più sanguigno – ha saputo lavorare così silenziosamente e ostinatamente da diventare Rettore della Federico II nel 2014, presidente della Conferenza dei rettori italiani nel 2015 (riconfermato nel 2018), ministro dell’Università nel 2019. Non sarà un carrarmato ma damme ‘o tiempo ca te spertoso. Vedremo, se dovesse diventare sindaco, che primo cittadino sarà. Ma averne uno che pensa fino a dieci prima di parlare, e poi sussurra, proietta già la scena napoletana in un mondo nuovo. Nell’era dei tribuni potrebbe arrivare a Palazzo San Giacomo, il sindaco dei silenzi: così silenzioso da non accorgerti che c’è. 


MARESCA. Determinato come un cowboy con il gusto di vincere da solo

Si piace moltissimo, il magistrato anticamorra prestato alla politica. Si piace proprio fisicamente. Ha quella sicurezza di chi si sente bello e trova solo conferme intorno a sé. Il passo del cowboy, scende dall’auto blindata con la scorta come se caracollasse da un cavallo nella prateria: saranno i trascorsi da calciatore, la statura e la postura sono dell’uomo che non deve chiedere mai, con l’abitudine di entrare in una stanza e fare rumore con la presenza, come possono solo i Pubblici ministeri quando sono attesi dallo sventurato di turno che deve essere interrogato dal dottore e torna o non torna a casa solo se riesce a convincere che è sincero. Catello Maresca, 49 anni, magistrato in aspettativa, lunga carriera da inquirente, arresti eccellenti nel curriculum, a furia di indagare sul crimine ha finito col somigliare un po’ a quei poliziotti in borghese duri, sfregiati, un po’ sghembi, più Serpico che Montalbano. La strada napoletana chiede un certo amore per l’inflessione dialettale, e lui non smorza ma accentua la cadenza, quasi come a volersi proporre da scugnizzo, da uomo ‘e ‘mmiez ‘a via. E in questa veste – sono uno di voi, sono come voi, conosco la strada – si è proposto alla città: candidato di centrodestra senza mai dirlo, un tentativo di proporsi come civico, poi l’innegabile realtà delle liste di Forza Italia (ma io non c’entro) e di Fratelli d’Italia (chi li conosce?) al suo fianco, Maresca non ha mai perso quel piglio decisionista di chi pensa che mentre gli altri discutono, lui comanda.

Si è piaciuto molto in questa campagna elettorale, al punto che viene quasi un moto di tenerezza a immaginarlo, in caso di sconfitta, che torna nel suo ufficio a gestire pratiche e non più prime pagine. Quasi sempre in camicia, ma con le maniche arrotolate, a volte addirittura in maglietta: perennemente in mezzo alle persone, sistematicamente col sorriso spalancato su quella barba brizzolata che sembra ammiccare all’interlocutore: non ti preoccupare, vediamo che si può fare, ci penso io. Abbracci, manate, dammi il cinque. Ampi sorrisi, pochi formalismi: a Napoli vince chi sa campare. Si è mosso a suo agio nei rioni popolari, nelle zone estreme: poco salotto, quasi nulla, niente feste e festini, ma giornate intere nelle vie di Napoli. A dire cosa? Sorridere e ascoltare. Anche Maresca è parso poco incline alla promessa. Non ha delineato scenari magniloquenti, non ha prospettato orizzonti impossibili. La consapevolezza – da uomo della burocrazia – della difficoltà del compito ne ha frenato forse l’impeto. Ma non l’entusiasmo. Continua a dire, in queste ore, che il ballottaggio sarà il suo, e che poi si apre un’altra storia. Sembra pronto alla sfida. Non vede l’ora di averlo di fronte, il suo avversario numero uno, il super favorito, che pare quasi il suo opposto. Potrebbe chiedergli di giocarsela a braccio di ferro, per come sembra tenere il punto e amare la sfida. Ma anche il dottore ha un doppio volto: chi lo conosce, parla di un lavoratore instancabile, di una intelligenza brillante, di un grande rigore, di una determinazione ostinata, come del resto deve avere chi per anni si è messo alle calcagne di latitanti come Michele Zagaria, e poi quando lo ha scovato, nel sottoscala di una villetta, gli ha detto in faccia: vi siete tolto un bel pensiero, con quel voi che è insieme gentilezza e distanza. Non ingannino il sorriso, quindi, il volto da scugnizzo, i modi genuini, la posa da ragazzone che sa campare e quello stile sportivo. Da sindaco, Maresca, potrebbe riservare qualche sorpresa. La prima, forse, proprio ai suoi alleati: i veri cowboy, quando vincono, vincono da soli.

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BASSOLINO. Il candidato del Novecento cerca la rivincita romantica

Comunque vada, è una grande avventura romantica quella che Antonio Bassolino, uomo totalmente del Novecento, ha voluto vivere in questo tempo supplementare della sua vita politica e personale, candidandosi per la terza volta a sindaco della città, e per la prima volta senza i favori del pronostico, partendo anzi da outsider, senza un partito, lui che il partito lo aveva enorme e onnipresente e quasi lo chiamava papà. Romantica proprio nella scrittura, come il suo nome in rosso, messo in diagonale sul manifesto per il comizio finale in piazza del Gesù, e va sottolineata la parola comizio, termine che ha voluto sdoganare proprio lui. Il manifesto col nome a caratteri cubitali, in diagonale, con una larga presenza del colore rosso, proprio come usava un tempo in casa Pci, quando a chiudere le campagne elettorali arrivava il compagno segretario da Roma e si preparavano i secchi di colla e le scope per andare a fare l’attacchinaggio prima della chiusura e poi verso l’ultimo minuto, prima del silenzio elettorale: solo il simbolo, una croce, vota così. Una campagna con la Peroni e il panino, quella di Bassolino, passo dopo passo, coi caseggiati, gli incontri nei bar, sulle fermate, nei mercati, nelle piazze di periferia, condotta sul filo della memoria, con i pantaloni di stoffa alti in vita, la cintura di cuoio consumata, il mocassino che a guardarci sotto di sicuro c’è un buco: mancavano solo il borsello e l’autoradio. Come in quelle serie americane dove l’uomo mite, con la camicia a mezze maniche, dopo averle subite e prese un po’ da tutti, piano piano, ostinatamente, con sagace strategia e la tenacia cocciuta di chi ha la pellaccia dura, costruisce la sua rivalsa personale. Del resto, cosa c’è di più romantico di una rivincita, che somiglia sempre a una resurrezione, al sogno di tutti noi di non morire mai? È cominciata così, con la libertà totale di un uomo che non deve più dare conto a nessuno, l’avventura romantica di Antonio Bassolino. Mi candido, disse. Voglio rifare il sindaco di Napoli. Perché? Perché lo so fare. Inutile dirgli che erano trent’anni fa, che il tempo passa e cambia le cose, che gli scenari si frantumano, che le situazioni mutano, che Napoli, pur sembrando sempre la stessa, non è più quella degli anni Novanta. Così spunta un sorriso su ogni volto, anche quello che un tempo era acerrimo avversario, ora accoglie il dolce sogno di Bassolino come un’avventura delicata, ubriaca di passione e testardaggine. La rivincita di tutti. Ma se il tempo muta le persone, le persone non si lasciano cancellare dal tempo. Ci vuole ben altro che l’età per smorzare la solida intelligenza politica di Bassolino che, pur con qualche capello bianco, è più che vigile dal primo giorno su tutti i pericoli della sua candidatura. Nessuna nostalgia del passato, dice. Nessuna rivalsa. Ho fatto tutto e sono felice: sono stato sindaco, governatore, deputato, ministro. Non mi candido per rivincita. Ma per il futuro. Lo dice con insistenza, consapevole che il grande rischio, fin dal primo giorno, è di essere considerato un testimone del tempo che fugge, un lottatore nostalgico per il potere perduto, una bandiera del mondo che non c’è. Sarà riuscito, Bassolino, a tirarsi fuori dall’angolo del come eravamo, dal reducismo un po’ rosso, un po’ nero, un po’ bianco, dalla bolla di tenerezza, dall’operazione saudade, per diventare non solo testimone credibile di un tempo andato ma interprete esperto e innovativo del tempo futuro? Lo diranno i numeri, lunedì sera. Ma le grandi avventure romantiche hanno una sola, vera caratteristica: si vince anche quando si perde. 
 

CLEMENTE. Limpida e tenace, su di lei il peso di 8 anni con DeMa

Ad Alessandra Clemente è toccato uno stranissimo destino, in questa campagna elettorale: quello di essere la più giovane e la più vecchia di tutti. La sua età anagrafica, il suo profilo personale, il suo volto pulito, il suo nome specchiato, la sua storia familiare integra e commovente, con il terribile assassinio della madre, Silvia Ruotolo, per mano della camorra, lo straordinario impegno per la legalità di tutta la famiglia, perfino i tratti anatomici del suo viso: un sorriso limpido, uno sguardo trasparente, una simpatia umana innegabile. Sembra l’identikit di una generazione piena di idee e di energie, pronta a disegnare il futuro, a riempire di forza e proposte la città. Ma c’è un ma. Un ma grande quanto Palazzo San Giacomo. Il ma è che Alessandra Clemente non è un volto nuovo della politica, uno di quelli di cui forse ci sarebbe stato bisogno in questo frangente. Ma è un nome “vecchio”, una che l’opportunità l’ha già avuta, una che si è già misurata con il lavoro amministrativo, con i risultati che ognuno può giudicare e da cui può trarre valutazioni e scelte: nel 2013, otto anni fa, quando aveva 25 anni ed era appena tornata dalla Rennert School di Manhattan, a New York, Clemente diventa assessore della giunta di de Magistris. Politiche Giovanili, creatività e innovazione sono le sue deleghe. Alle elezioni successive si candida al Consiglio comunale, viene eletta con poco meno di 5mila preferenze – grande successo personale - e torna in giunta: assessore di nuovo ai Giovani e alle politiche giovanili, innovazione e creatività con in più, nel tempo, Polizia locale e sicurezza, Protezione civile, Mobilità sostenibile, Infrastrutture e lavori pubblici, Patrimonio: insomma, il punto cruciale di tutta l’amministrazione. Lo stesso de Magistris la lancia come sua erede. E tale resta, Clemente, che si è dimessa solo a candidatura ormai definita, fino al nastro di partenza, quando molti pezzi dell’amministrazione uscente scappano e si mimetizzano tra gli antichi nemici mentre lei resta a indicare la continuità, a difendere i presunti risultati, a dire abbiamo fatto bene, continueremo così. L’unica candidata a sindaco che non ha usato, in questa campagna elettorale, la parola discontinuità. E come poteva? Non le è mancata l’eleganza verso chi prima l’ha lanciata e poi l’ha un po’ dimenticata: poca polemica, molta energia, più sorrisi che veleno. Ma da qualunque parte la prendi, la candidatura di Alessandra Clemente, la più giovane nell’età, nel lessico e nell’immagine, è la più vecchia nella proposta politica. Ancor più vecchia di chi il sindaco lo ha già fatto perché in quel caso sono passate epoche, per lei solo qualche settimana. Anche per questo il meccanismo della sua campagna elettorale, in fondo, è stato semplice: siete contenti di come abbiamo governato Napoli in questi anni? Siete soddisfatti delle condizioni in cui è la città? Trovate che Napoli con noi al timone abbia fatto passi avanti, sia migliorata, sia cresciuta nei servizi e nella qualità? Votate per me. In caso contrario, non c’è neppure da parlare. Sarà stato complicato, per Clemente girare per le strade e dare spiegazioni dei tanti disservizi. Ma chi le è stata vicina, racconta di una donna tenace e sostenuta da una grande volontà. Lunedì sera, i numeri diranno cosa pensano i napoletani degli ultimi dieci anni; se siano stati felici o no di essere amministrati così nei due mandati di de Magistris. Ma a pagare il prezzo, o a incassare i benefici, sarà una sola, sarà lei: la più giovane e la più anziana tra i candidati a sindaco.

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