Comune di Napoli, è incubo dissesto: ​creditori pronti alla rivolta

Comune di Napoli, è incubo dissesto: creditori pronti alla rivolta
di Valerio Esca
Venerdì 19 Novembre 2021, 00:00 - Ultimo agg. 20 Novembre, 08:17
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Il Comune di Napoli ha un debito verso i fornitori pari quasi a un miliardo di euro. Un quinto del debito totale dell’Ente di 5 miliardi, che è omnicomprensivo tra prestiti obbligazionari verso altre amministrazioni pubbliche, banche, tesoriere e verso altri finanziatori. E chiaramente dentro questo bubbone ci sono anche le imprese creditrici e fornitrici di servizi per Palazzo San Giacomo, che aspettano i pagamenti delle fatture arretrate inserite nel cronologico da oltre un anno (da ottobre 2020). Il default sarebbe una vera e propria Babele, considerando le centinaia di piccoli imprenditori (nel luglio 2020 erano più di 700) che rischierebbero il crac, dando vita ad una crisi sociale del tessuto economico-finanziario cittadino senza precedenti. 

Tra partecipate e aziende grandi, medie e piccole il debito del Comune nei confronti dei fornitori ammonta a 812.626.140 euro al 31 dicembre 2020 (l’anno prima era pari a 679 milioni), cresciuto nel corso di quest’anno tanto da superare il miliardo. L’ultima boccata d’ossigeno si concretizzò nel luglio 2020, quando l’amministrazione de Magistris riuscì a ottenere da Cassa Depositi e Prestiti un’ulteriore anticipazione di liquidità per 500 milioni di euro. Questo consentì al Comune di scorrere il cosiddetto cronologico, cioè i pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2019 relativi a somministrazioni, forniture, appalti e obbligazioni per prestazioni professionali. Tra l’altro proprio sul Fal (fondo anticipazioni di liquidità) dovrebbe arrivare dal governo un primo segnale per le casse del Municipio.

Difatti, l’articolo 181 della legge di bilancio consente al ministero dell’Economia e delle Finanze e a Cassa depositi e prestiti di modificare i termini finanziari, diminuendo i tassi di interesse sulle anticipazioni concesse agli Enti locali. Soldi che i Comuni tra il 2013 e il 2015 hanno utilizzato erroneamente per la spesa corrente, una cattiva abitudine alla quale ha messo fine la Corte dei Conti. La norma consente di rinegoziare il Fal a un tasso pari o superiore al 3% in modo tale che il debito residuo al 31 dicembre 2021 possa essere rimborsato allo Stato in un periodo di trent’anni. 

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Tra i creditori dell’Ente spunta però anche una delle partecipate di Palazzo San Giacomo. Si tratta di Asìa. Attualmente, al 2021, il Comune ha un debito verso la sua società di igiene urbana di 105 milioni di euro. Asìa, a sua volta, ha un debito verso le banche di 50 milioni di euro, con una linea di affidamento che arriva fino a 80 milioni. Il Comune - da quanto si apprende da Asìa – paga i canoni dovuti all’azienda di igiene urbano cittadino con circa 9 mesi di ritardo. Una prassi consolidata che certo non può durare in eterno. Il Comune ha problemi di liquidità e non riesce a coprire i costi del contratto di servizio dell’azienda (170 milioni all’anno per una durata di 15 anni). I ritardi nei trasferimenti hanno portato l’Ente ad accumulare un debito da capogiro nei confronti della partecipata, che a sua volta per pagare i costi di gestione si è affidata allo sconfinamento del fido bancario. Una volta raggiunto il tetto massimo, gli istituti bancari non copriranno eventuali altri costi. In pratica Asìa può chiedere alle banche l’anticipo dei fondi sul credito esigibile, ovvero i trasferimenti che il Comune deve all’azienda. I costi di Asìa sono in parte coperti dagli introiti delle tasse, nello specifico la Tari, quella della spazzatura, che, come si sa, a Napoli vanta un’evasione ancora altissima. Basti pensare che c’è un terzo dei napoletani che non paga la tassa dei rifiuti perché non si è mai autodenunciato agli uffici di Corso Lucci.
 

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