Comuni sciolti per mafia, una legge piena di buchi

di Domenico Tuccillo
Lunedì 9 Maggio 2022, 23:45 - Ultimo agg. 10 Maggio, 06:00
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“Ma ora non chiamateci tutti camorristi”, ha scritto il torrese Massimo Corcione, nella sua dolente lettera pubblicata dal Mattino, in margine alla notizia dello scioglimento per condizionamenti camorristici dell’amministrazione di Torre Annunziata. E il pericolo che quando, spento il frastuono delle sirene e dei megafoni, non resti altro, a 37 anni dall’omicidio di Giancarlo Siani, che una nuova onta ad imbrattare il volto della città costiera, è un pericolo molto reale.

Perciò, al di là delle responsabilità penali e personali di politici e dirigenti, già oggetto di indagini e verifiche da parte della Procura, la gravità della vicenda che ha investito, ancora una volta, come un passato che non passa, la comunità torrese, non può non interpellare l’efficacia degli strumenti messi in campo dallo Stato per il ripristino della legalità nelle istituzioni comunali. Il tema non tocca, come è noto, soltanto la città in questione. Da Sant’Antimo a Villaricca, da Marano ad Arzano: la geografia del territorio della provincia di Napoli, e in particolare quella dell’area nord, si presenta sempre di più a macchia di leopardo: con le chiazze nere degli scioglimenti per infiltrazione camorristica che si espandono a dismisura. O, peggio, che si sovrappongono a precedenti “stratificazioni”: come, appunto, nel caso di Torre Annunziata, o come per il Comune di Marano, detentore del fosco primato di ben quattro decreti di scioglimento.

La domanda, allora, sorge spontanea: e riguarda l’incisività con cui operano le commissioni straordinarie per mettere i Comuni al riparo dalle infiltrazioni criminali e per ricondurre le Amministrazioni e il funzionamento degli apparati nell’alveo della legalità. La questione emerge, con drammatica evidenza, anche dalla stessa, recente relazione (26 aprile scorso) della Commissione Antimafia. Che, dopo una serrata indagine e messa a confronto delle relazioni conclusive delle Commissioni straordinarie, ha rilevato come nel 78% dei casi mancano riferimenti a fenomeni corruttivi, così come molto carenti appaiono le segnalazioni o i procedimenti disciplinari avviati nei confronti del personale per fatti penalmente rilevanti o per illeciti. Per non parlare poi di quanto si sarebbe dovuto fare, ma non è stato fatto, sempre da parte delle Commissioni straordinarie, in tema di trasparenza e di concreta e incisiva azione di anticorruzione. La conclusione è tutt’altro che esaltante:

“Dall’analisi compiuta - recita la relazione - è emerso che le gestioni commissariali non prestano la dovuta attenzione o, comunque, non riescono ad affrontare in maniera adeguata gli aspetti della trasparenza e della prevenzione della corruzione, che appaiono invece essenziali per consentire un graduale ritorno verso la legalità dei Comuni”.

Una pronuncia severa, questa dell’Antimafia, che sembra quasi spingerci verso la temibile equazione: scioglimento uguale grida manzoniane! Perché nulla vi è di più deleterio, sia chiaro, quando si interrompe il diritto di una comunità all’esercizio della democrazia in nome di un interesse superiore da garantire, che quell’interesse non venga poi adeguatamente salvaguardato! Occorre dunque intervenire e correggere.

Dalla costituzione di un Albo del personale, composto da funzionari pubblici di provata competenza amministrativa, e dedicato in via esclusiva, e non ‘a scavalco’, alle Commissioni straordinarie; alla predisposizione di risorse finanziare adeguate e di strumenti giuridici in deroga alle norme vigenti, in particolare in merito allo spostamento o anche al licenziamento del personale; alla definizione di obblighi più stringenti, nonché di adeguate garanzie, per chi è chiamato ad assolvere questo compito (che non può essere interpretato solo come una vacanza-premio riservata ai prefetti in pensione); ad una estensione della pubblicazione degli atti conclusivi dei procedimenti di accertamento. Spunti, come si vede, per un affinamento degli strumenti legislativi e operativi non mancano. Di certo, ciò che non è tollerabile è la percezione che lo Stato intervenga, con un atto autoritativo e sanzionatorio a ripristino della legalità, ma anche ad onta della comunità che lo subisce, lasciando poi alla fine, fatte le dovute eccezioni, tutto come prima. Se si produce una decisione traumatica, se un marchio di connivenza tra camorra e politica e/o tra camorra e istituzioni viene apposto su di un Comune, con tanto di timbro del ministero dell’Interno, allora la risposta deve essere ferma e severa. Le misure che si assumono draconiane e inflessibili. E, soprattutto, la comunità deve percepire che la vergogna è ripagata. Che lo Stato interviene a rimuovere le metastasi insinuatesi nel corpo dell’Amministrazione e in quello sociale. Che il vecchio adagio che si sente risuonare, quando si prospetta uno scioglimento, e cioè che “alla fine, anche la peggiore Amministrazione, è sempre meglio di un commissario!”, non corrisponde sempre alla verità.

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