Quando la rivoluzione si fa con il bel gioco

di Marilicia Salvia
Lunedì 19 Marzo 2018, 22:55 - Ultimo agg. 20 Marzo, 11:04
3 Minuti di Lettura
«Se fosse per me andiamo fino al palazzo, andiamo a prendere il potere». Sì, l’ha detto. A nove giornate dalla fine, alla vigilia della pausa da nazionale (così c’è più tempo per meditare, gustare, metabolizzare), l’ha detto. Per i non sarristi è una frase qualunque, un generico riferimento alla conquista. Non così per i rivoluzionari doc, quelli che del bel gioco elevato al sarrismo hanno fatto una fede. Fino al palazzo, da domenica notte, non è più solo l’hastag che una partita dopo l’altra ha unito, via social, le speranze, le ragioni, l’entusiasmo, a volte la rabbia e - soprattutto - il senso di appartenenza al sogno di centinaia di supporter napoletani 4.0.

Ma è, da domenica notte, il messaggio in codice che congiunge questi tifosi direttamente a lui, all’allenatore Maurizio Sarri. Anzi al Comandante Sarri: così, a scanso di equivoci e con sommo rispetto, lo chiamano in quel particolarissimo e misterioso pianeta denominato Sarrismo-Gioia e Rivoluzione. E il Comandante, dopo aver avuto ragione di un Genoa insolitamente ribelle e fin troppo fortunato, si è finalmente lasciato andare: quella pagina Facebook, quell’hastag, ebbene sì, li conosce e li apprezza. Ha cognizione, il Comandante, del Politburo del comitato centrale della rivoluzione sarrista “tuttora sotto shock” per aver ascoltato le sue parole. E probabilmente ha notizia pure del suo ministro della propaganda (Sandro Ruotolo, giornalista e tifoso qui spesso ritratto in abiti stalinian-sarristi). Ministro che ieri mattina ha usato, commosso, un lessico che mai il calcio, ma neanche il bolscevismo ha mai conosciuto: “La felicità è corsa come un fremito in tutta l’incudine e lo stesso martello è rimasto colpito dalle seggiate volate in aria”, è stata la descrizione dell’emozionante epifania. Fino alla conclusione: «Care compagne e cari compagni, non chiedete al Politburo l’impossibile. Non saprete mai se e chi in incognito segue la nostra Pravda per conto di Lui. Sappiate che il nostro Comandante veglia sul popolo azzurro e sui soviet». 

Si scherza naturalmente, si scherza. L’invenzione del soviet azzurro (gruppo chiuso, 12.109 membri) e di happening periodici chiamati Internazionale sarrista (nient’altro che maxiraduni organizzati in occasione di partite particolarmente sentite, in cui ciascuno porta casatielli e crostate da dividere fraternamente davanti alla tv) nonché di un linguaggio surreale in cui le città di provenienza dei tifosi acquistano inesorabilmente il suffisso grad (Frattagrad, Atellagrad), è un gioco, un divertissement cresciuto di pari passo con l’avanzata della squadra verso la conquista della vetta. È il fil rouge che fa dire al tifoso Enrico del Mercato, alle 22.38 del sabato del pareggio, «Ferrara città medaglia d’oro della Resistenza». Ma anche a Marcella Esposito «Fino al palazzo va bene, ma fate uno sforzo pure la domenica fino al San Paolo». È rivoluzione e buon senso, insomma, passo di carica e realismo: a guardar bene, la perfetta sintesi del calcio sarrista, la quintessenza del ruvido uomo in tuta che ha trasformato il pallone in bellezza. Sarà per questo che a nove giornate dalla fine il Comandante ci ha preso gusto, e dopo l’endorsement di domenica notte ha ribadito il concetto ieri a Montecatini, dove è andato a ritirare il premio Maestrelli: sì, avete capito bene, voglio arrivare fino al Palazzo. Come? Quando? E se quelli lì non si dovessero spostare? Ha forse in mente un piano B? Domande inutili. In un pianeta che associa alle parole Sarri e Rivoluzione il sentimento Gioia, un piano B semplicemente non esiste. 
© RIPRODUZIONE RISERVATA