Coronavirus, allarme della polizia: le mani dei clan sul kit sopravvivenza

Coronavirus, allarme della polizia: le mani dei clan sul kit sopravvivenza
di Leandro Del Gaudio
Martedì 31 Marzo 2020, 00:00 - Ultimo agg. 11:39
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È indicato come il business in espansione, quello maggiormente appetibile per i clan mafiosi. È la frontiera dei prossimi investimenti criminali, almeno a giudicare dall’allarme lanciato in questi giorni dai vertici investigativi della polizia. Tre pagine, per richiamare l’attenzione su quanto potrebbe avvenire nei prossimi mesi, quando - è la speranza di tutti - si potrà tornare a vivere e a rilanciare l’economia nazionale. 
È il business del corredo sanitario, dei prodotti parafarmaceutici che abbiamo imparato a conoscere come materiale necessario nella difesa individuale e collettiva, quasi come fosse uno scudo contro ogni forma di contagio. Parliamo delle mascherine di protezione di naso e bocca, dei guanti, del gel igienizzante, insomma dei kit della sopravvivenza per gli anni che verranno. 

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È su questo settore merceologico che camorra e altre organizzazioni puntano le proprie fiches, anche di fronte alla paralisi di altri comparti economici. In vista del possibile crollo del turismo, ma anche in relazione al probabile ridimensionamento del sistema dei trasporti, le prime mosse sul tavolo della ricostruzione post corona virus saranno giocate in questo settore. Scrive la direzione centrale anticrimine, con la nota a firma di Messina: «Tale scenario potrà evidenziare ampi margini di inserimento per la criminalità organizzata, nella necessaria fase di riavvio di molteplici attività economiche, tenuto conto della circostanza che la crisi attuale si configurerà come portatrice di un deficit di liquidità, di una profonda rimodulazione del mercato del lavoro, del conseguente afflusso di ingenti finanziamenti pubblici, sia nazionali che comunitari, tesi a sostenere cospicuamente l’attuale momento critico e la conseguente ripresa economica». Un ragionamento frutto delle informative giunte in queste ultime settimane dallo sco guidato dal dirigente Fausto Lamparelli e del servizio centrale anticrimine diretto da Giuseppe Linares, due massimi esperti di indagini antimafia, che non a caso hanno lavorato per anni a dare la caccia a boss e patrimoni camorristici nell’area metropolitana napoletana.

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Una ricostruzione che sembra coincidere con quanto sta avvenendo proprio nel capoluogo partenopeo, dove sono stati segnalati in questi giorni alcuni episodi di welfare camorristico. Aumenta il porta a porta, sono sempre di più quelli che fanno ricorso al denaro messo a disposizione da soggetti in odore di camorra. E che accettano magari anche una sorta di spesa offerta da soggetti che hanno interesse a raccogliere consenso e a rafforzare la propria forza sul territorio. Ma non è tutto. Non è solo una questione denaro spicciolo, di chi prova ad accattivarsi l’adesione o la complicità delle persone che vivono nello stesso quartiere. No, la partita in ballo è decisamente più ampia e complessa e riguarda il tentativo di entrare nel business della ripartenza. A partire proprio dal settore medico, sanitario in senso esteso. È in questo scenario che sono destinati a pesare i finanziamenti pubblici (nazionali e comunitari) sulle forniture legate alla sanità statale e privata. 

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Ma torniamo al clima che si registra a Napoli e nelle altre grandi aree metropolitane cittadine. Sono tanti i negozi che avranno difficoltà a ripartire, che avranno difficoltà di accesso al credito. È a loro che potrebbero rivolgersi i manager del crimine organizzato interessati a ricollocare i propri capitali nel circuito della cosiddetta economia pulita. È già avvenuto, specie dalle nostre parti, all’indomani dell’emergenza terremoto e della crisi per la raccolta rifiuti del 2008. Lo ha spiegato in queste ore l’ex procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, eurodeputato in quota Pd, che ha ricordato al Fatto quotidiano la capacità dei clan di capitalizzare lo stato di sofferenza di interi settori della società civile meridionale. Pronti a raccogliere l’allarme lanciato ieri dal Mattino, a proposito del welfare della camorra, anche le forze politiche. Si muove la commissione parlamentare antimafia, con il deputato Gianluca Cantalamessa (Lega), che chiede vigilanza e investimenti, per «evitare che persone oneste finiscano nelle trame del crimine organizzato, disposto a sostituirsi allo Stato offrendo una sorta di welfare porta a porta». Dello stesso tono, l’intervento del consigliere regionale M5s e segretario della commissione anticamorra Vincenzo Viglione, che chiede «misure di sostegno a beneficio di chi è in difficoltà». Ma è un intero mondo ad essere in fibrillazione per la capacità delle cosche - a Napoli e in altre regioni italiane - di cambiare pelle nel giro di poche settimane e di riuscire a capitalizzare profitti anche in uno scenario economico completamente paralizzato. Lo ha spiegato alcuni giorni fa il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho a Repubblica, facendo riferimento alla tendenza dei boss di cercare consenso, affiliazione proprio nei settori più emarginati delle società meridionali.

Uno scenario nel quale ora più che mai si punta ai sussidi di Stato (il reddito di quarantena), mentre c’è chi ha bisogno anche della busta della spesa offerta dall’amico di zona, pur di continuare la sopravvivenza ai tempi della grande pandemia.

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