Coronavirus, 100 aziende campane pronte alla riconversione per produrre mascherine e respiratori

Coronavirus, 100 aziende campane pronte alla riconversione per produrre mascherine e respiratori
di Paolo Barbuto
Venerdì 10 Aprile 2020, 00:00 - Ultimo agg. 11:54
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Sono cento le aziende della Campania che hanno deciso di rimettersi in gioco e di trasformare la loro produzione per contribuire alla battaglia contro il virus, appartengono ai settori più disparati, dalla moda all’aerospazio, si sono riunite attorno alla Federico II che s’è trasformata in polo d’aggregazione, punto di riferimento per fornire supporto e strutture in grado di affrontare il percorso verso la riconversione nel migliore dei modi prima ancora di chiedere i permessi e le validazioni ufficiali alle autorità competenti.

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Il rettore De Vivo, poche ore dopo la diffusione del decreto “Innova per l’Italia”, aveva già messo in piedi una maxi struttura composta da 165 fra professori e ricercatori, 51 differenti gruppi di ricerca, che lavorano in tre centri universitari e sedici diversi dipartimenti: una struttura incardinata nel CeSMA, il Centro servizi metrologici avanzati, diretto da Leopoldo Angrisani; un esercito a disposizione delle aziende, affidato nelle mani sapienti del professor Pier Luca Maffettone.

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Quattro i settori previsti per le proposte di riconversione delle aziende: mascherine e dispositivi di protezione; respiratori; diagnostica (tamponi); monitoraggio e contrasto. A governare il primo settore, quello delle mascherine (che è il più affollato con circa sessanta aziende pronte alla produzione) i professori Andrea D’Anna ed Ivo Iavicoli; la sezione respiratori è affidata ai professori Francesco Amato, Giuliana Fiorillo, Luigi Carrino e Giuseppe Servillo. La questione diagnostica e tamponi è affidata ai professori Giuseppe Castaldo e Paolo Netti mentre il monitoraggio (droni per la sorveglianza e app per il controllo) è nelle mani dei professori Leopoldo Angrisani e Domenico Accardo.

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Fin dal primo giorno di attività la struttura dell’università è stata sommersa dalle richieste delle aziende. Attualmente sono poco più di cento con una intensa propensione per il settore delle mascherine intorno al quale ruotano tante imprese collegate al mondo della moda, ma non solo. L’università chiede agli imprenditori di chiarire subito se intendono produrre mascherine chirurgiche o semplici mascherine protettive. Le prime hanno bisogno di analisi sui materiali molto accurate e vanno studiate nel dettaglio. Quelle non chirurgiche, invece, vanno sottoposte a test per i quali l’università di Napoli si sta ancora attrezzando. Una delle prime candidature per la produzione di mascherine è giunta dalla Kiton, l’azienda che produce sartoria di lusso ed è pronta a mettere a disposizione materiali e macchine per cucire in favore della produzione di protezioni facciali.
In prima linea anche la pugliese Natuzzi (quella di Divani&Divani) che ha a disposizione immense quantità di tessuto non tessuto che è fondamentale per la produzione di mascherine chirurgiche.
 


Il fronte della diagnostica (i tamponi e i kit per le analisi rapide) ha raccolto una piccola quantità di aziende, quasi tutte già del settore medico. Per l’area monitoraggio e controllo la Ios Academy ha proposto lo sviluppo di una App specifica mentre per i controlli con i droni si sono candidate le aziende dell’aerospazio le quali, però, hanno aderito soprattutto al settore “respiratori”. In prima fila ci sono Magnaghi e Leonardo che hanno offerto esperienza, know how e macchinari per la produzione di respiratori da destinare alle terapie intensive.
L’idea ruota attorno a un progetto internazionale di ventilatore polmonare, disponibile a chiunque e non protetto da brevetto (open source) rappresentato a Napoli dalla professoressa Fiorillo. Adesso siamo alla fase del prototipo, alla quale già hanno dato il loro contributo tutti i partecipanti. Una volta superato il momento dei test verrà quello della materiale realizzazione dei respiratori: tutte le aziende dell’aerospazio si sono dette pronte ad offrire il proprio contributo senza badare alla questione delle spese da sostenere. Si tratta di partecipare a una sfida per il futuro e non di costruire un nuovo business perché ciascuna azienda prosegue con il proprio.

Visione diversa rispetto al settore mascherine nel quale si sono affacciate anche tante società appena create che cercano di entrare in un settore dove, per il momento, i guadagni sono assicurati.
 

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