Coronavirus in Campania: scontro sull'asporto, otto locali su dieci non apriranno

Coronavirus in Campania: scontro sull'asporto, otto locali su dieci non apriranno
di Gennaro Di Biase
Venerdì 24 Aprile 2020, 00:00 - Ultimo agg. 12:49
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Due su dieci. Questa è la percentuale di locali partenopei che riapriranno con il food delivery a partire dal 27 aprile. La stessa stima del «20% di ripartenze» è confermata sia da Confcommercio che da Confesercenti Napoli. Entrambe le associazioni di categoria, che insieme contano circa 20mila iscritti tra bar, pizzerie, pub e ristoranti, sottolineano «le forti limitazioni imposte dalla Regione» nell’ordinanza dell’altro ieri, che ha riattivato la possibilità delle consegne a domicilio, fino a tre giorni fa in lockdown totale soltanto in Campania. Tra i tanti che non rialzeranno le saracinesche ci sono anche Mennella e Gambrinus. 

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Quasi tutti i locali si sentono sulla stessa barca. «Stimiamo che almeno l’80% delle 10mila imprese di ristorazione iscritte alla nostra associazione non riaprirà lunedì - dice Vincenzo Schiavo, presidente di Confesercenti Campania - Non ce la faranno perché l’impegno è troppo gravoso e non c’è certezza che ci sia un adeguato ritorno economico. Con l’onere della sanificazione in pochi giorni, per mezza giornata e con i tanti vincoli imposti dall’ordinanza, è tutto a loro sfavore». Massimo Di Porzio di Fipe e Pasquale Russo, direttore di Confcommercio Napoli rincarano la dose: «Per poter operare servono correttivi all’ordinanza - dicono - ogni lavoratore dovrebbe avere un certificato medico, infatti, ma è impossibile in questo periodo farsi visitare dal medico curante. Difficile poi approvvigionarsi di mascherine, i copriscarpe non servono, e i grembiuli monouso sono quasi introvabili su due piedi. Inoltre, la Regione prevede la sanificazione: ma se siamo chiusi da 45 giorni, come potrebbe esserci il virus nei locali?». Russo e Di Porzio sottolineano il problema legato all’orario: «Le pizzerie possono lavorare dalle 16 alle 22, ma non ci sono i tempi necessari tra la preparazione degli impasti e le relative consegne. Una pasta deve crescere per 5 ore. Chiediamo al governatore che dal 4 maggio ci sia un adeguamento delle ordinanze regionali a quelle nazionali. Da quello che ci risulta l’80% dei nostri 10mila iscritti ha deciso di aspettare il mese prossimo, e non partirà il 27. Da martedì si aggiungeranno altri esercizi, ma non faranno servizio delivery, piuttosto riorganizzeranno i locali. Bisogna inoltre sbloccare il take away il 4 maggio, oltre al food delivery. Solo con il cibo d’asporto molte saracinesche potranno rialzarsi». 

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C’è chi riprenderà, a partire dal 27, come Mattozzi di piazza Carità ed Enrico Schettino di Giappo, che interpreta lo sblocco del delivery «come un modo positivo per riprendere l’attività, anche se con un guadagno vicino allo zero. Attiveremo procedure che ci porteranno verso la fase due in modo graduale». Ma a ripartire sarà una netta minoranza dei ristoratori: per rispettare l’ordinanza della Regione, ogni imprenditore - secondo le associazioni - dovrà spendere circa «600 euro» per riaprire le porte del locale, tra costi di sanificazione e corsi di formazione per l’adeguamento dei dipendenti nel post-pandemia. Più «100 euro» circa per i dispositivi sanitari di ogni dipendente.
 


La preoccupazione non è poca nel settore del food e del beverage: è nato infatti in queste ore un gruppo Whatsapp intitolato “Io non apro”, tra i cui fondatori ci sono Guido Guida di Opera al Vomero in via Luca Giordano, Antonio Siciliano del Bar Napoli, Attilio De Gais di Vesi Gourmet in via Caracciolo, Vincenzo Imperatore dell’omonima rosticceria dei Colli Aminei e Giuseppe Scicchitano della Figlia d’o Marenaro di via Foria. «Aprire in questo momento è impossibile - chiarisce Imperatore - innanzitutto c’è il problema sanitario. Poi quello dei dipendenti, che ancora non hanno visto i soldi della cassa integrazione. In tv e sui social si proclamano piani e soldi per le aziende, ma nella realtà non è arrivato un euro. E non abbiamo avuto nemmeno agevolazioni fiscali». «Al gruppo, spontaneo, partecipano 200 ristoratori - aggiunge Guida - tra bar, pizzerie e paninoteche. Siamo imprenditori preoccupati. Le limitazioni imposte dalla Regione, senza aiuti economici, senza interventi sugli affitti, sulla tassa dell’immondizia e senza agevolazioni fiscali, ci stanno mettendo in agitazione. La limitazione di orari imposta dall’ordinanza inibisce qualsiasi possibilità di lavorare. Il delivery che apre alle 16 e chiude alle 22 è impossibile. L’offerta non si creerà mai. Aspettiamo risposte importanti dallo Stato per sapere come comportarci con i nostri dipendenti nei prossimi mesi, anche perché, con il freno agli ingressi, i dipendenti necessari saranno molti di meno. Senza ammortizzatori sociali saremo costretti a licenziare».
 

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