Gasperini, il predicatore razzola male

di Francesco De Luca
Martedì 2 Giugno 2020, 00:00
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Il tono pacato, da prete durante l’omelia, l’ha adoperato anche per quella rivelazione. Gian Piero Gasperini - l’allenatore dell’Atalanta sempre più cresciuta sotto la sua guida: quarta in classifica e unica italiana già qualificata ai quarti di Champions League - ha rivelato alla «Gazzetta dello Sport» di essersi seduto sulla panchina di Valencia il 10 marzo con il Coronavirus.

I sintomi erano quelli, li ha descritti con dovizia di particolari dopo quasi tre mesi, eppure non si isolò. Andò in campo anche se il virus stava circolando in Italia. Quel 10 marzo i numeri facevano già paura: 10.149 casi e 631 morti, tanti in provincia di Bergamo. Il Valencia si è indignato con il tecnico che ha fatto spesso discutere per le sue parole e i suoi comportamenti, anche se ha avuto pienamente ragione quando ha replicato a muso duro agli ultrà della Fiorentina il 14 gennaio: avevano insultato sua madre durante la partita di Coppa Italia al Franchi. Le sfide con l’Atalanta hanno lasciato il segno nel club spagnolo e non per l’eliminazione: il 27 marzo sono stati segnalati 10 calciatori e 15 dipendenti contagiati e si ritiene che Atalanta-Valencia giocata il 19 febbraio al Meazza a porte aperte, al contrario della partita di ritorno al Mestalla, sia stata un’occasione di contagio. Ecco perché il club spagnolo si è dichiarato sorpreso per le parole di Gasperini - erano chiarissimi i sintomi: chi vive e lavora a Bergamo non poteva non coglierli a inizio marzo - e senza giri di parole lo ha accusato di aver messo a rischio «molte persone, se quello fosse stato il caso, durante il suo viaggio e soggiorno a Valencia». In quei giorni l’allenatore era preoccupato per quanto stava accadendo a Bergamo e ancor di più per quanto si poteva rischiare altrove: «In Lombardia siamo sufficientemente attrezzati, mi chiedo cosa potrebbe accadere a Roma o Napoli». L’evoluzione della pandemia ha dimostrato quali sistemi sanitari hanno retto in Italia.

Non si comprende il senso della rivelazione dell’allenatore, che ha scoperto di avere gli anticorpi (e quindi di essere stato contagiato) attraverso successivi test sierologici. Dando questa notizia, ha sollevato un polverone. Non è la prima volta in cui Gasperini - 62 anni, torinese di Grugliasco, carriera da allenatore iniziata nel vivaio della Juve, soprannominato Gasperson quando allenava il Genoa perché sembrava che potesse durare in eterno sulla panchina rossoblù come Ferguson allo United - va in copertina non per le prodezze dell’Atalanta. Poco più di un anno fa, nel sottopassaggio del Ferraris di Genova, durante Sampdoria-Atalanta, spintonò con una manata il dirigente del club blucerchiato Ienca. A caldo lo accusò di aver fatto la scena, ventiquattr’ore dopo chiese scusa. Il nervosismo spesso assale Gasp e ne sanno qualcosa gli arbitri. Il 15 gennaio 2017, durante Lazio-Atalanta, arrivò a dire all’arbitro Pairetto, torinese come lui, figlio dell’ex designatore coinvolto in Calciopoli, al momento dell’espulsione per proteste: «Faccia di m... Testa di c...». Perché tanta ira? «Il quarto uomo aveva minacciato di buttarmi fuori: l’espulsione era programmata». Squalifica di due giornate. L’Olimpico e la Lazio, evidentemente, turbano Gasperini, che il 10 ottobre scorso, dopo il 3-3 con i biancazzurri, s’irritò per i due rigori concessi da Rocchi a Immobile, accusando l’attaccante di Torre Annunziata di essere «un tuffatore: una roba ridicola quei due rigori». La Lazio rispose a muso duro: «Gasperini non si permetta, le sue parole sono inaccettabili».

Gian Piero ha vinto una Panchina d’argento nel 2007 e la Panchina d’oro nel 2019, il gioco dell’Atalanta è apprezzato dovunque però ha vissuto solo una brevissima esperienza in un club di chiara fama: Moratti gli tolse la guida dell’Inter dopo 5 partite. Dal 2016 è legato a un’altra lombarda dai colori nerazzurri. Non solo alla squadra e alla società, ma anche alla città (che giustamente gli ha attribuito la cittadinanza onoraria) e alla tifoseria. Gli ultrà del Gewiss Stadium hanno fatto emergere il loro grande cuore durante la pandemia, quando hanno lavorato con le lacrime agli occhi e i muscoli infuocati per costruire un ospedale da campo. Ma questo non fa dimenticare il loro atteggiamento ostile - eufemismo - verso Napoli e i napoletani. E così, quando alla vigilia della partita contro la squadra di Ancelotti a inizio dicembre 2018 chiesero a Gasperini cosa pensasse dell’interruzione delle partite per cori razzisti, rispose: «Si tratta di speculazioni per fare polemica. Il clima di Bergamo è fantastico». Quella sera non si ascoltarono cori soltanto perché pochi giorni prima il presidente della Federcalcio, Gravina, aveva sollecitato il designatore Rizzoli a imporre la sospensione in caso di manifestazioni razziste. Ma dopo poche settimane si sarebbero nuovamente ascoltati al Meazza durante Inter-Napoli. E Gasperini, tornando sull’argomento, commentò: «Sospendere sarebbe una grande stupidata. Non è questione di razzismo». Già, e cosa è? Il buon predicatore anche quella volta razzolò male.
 
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