Coronavirus, Camera con vista Amuchina ma nessuno vuole il tampone

Coronavirus, Camera con vista Amuchina ma nessuno vuole il tampone
Coronavirus, Camera con vista Amuchina ma nessuno vuole il tampone
di Mario Ajello
Giovedì 12 Marzo 2020, 01:02 - Ultimo agg. 11:16
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Borbottano i senatori. «Io il tampone non lo voglio fare!». Ma gli tocca prima del voto in aula sul Coronavirus. E allora si forma una lunga coda al primo piano di Palazzo Cenci, dove c’è il presidio medico dei senatori, e scatta contemporaneamente la corsa discreta per non capitare vicino a quelli venuti dal Nord e dunque sospetti. E c’è anche chi diventa un obiettore di coscienza: «Il tampone rino-oro faringeo ve lo farete voi, io no. E poi vi pare giusto che a noi ci tocca e ai deputati no?».

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DISPENSER A GO-GO
Ma nessuno ha il coraggio sia alla Camera sia al Senato di sottrarsi al passaggio delle mani sotto i dispenser con fotocellula dell’amuchina disseminati dappertutto. E a Palazzo Madama perfino sotto il busto di Garibaldi e alla buvette (mentre quella della Camera è sbarrata) in modo che non diventino luogo d’assembramento.

E comunque. Il governo amuchina (o il facimmo ammuchina, detto alla napoletana) è il soprannome dell’esecutivo Conte. Ma ci sono anche l’opposizione amuchina (Salvini però passa in Senato, vota e se ne va, senza il rituale passaggio igienico-sanitario ma si dice «preoccupatissimo: questa ormai è una pandemia») e il Parlamento amuchina. Nel senso che l’amuchina è diventato il gel trasversale per eccellenza, il balsamo non solo personale ma anche politico, perché capace di sanare le divisioni tra i partiti. Un grillino e un leghista si danno appuntamento in uno dei cinque tavoli dell’amuchina apparecchiati lungo il Transatlantico, «così parliamo un po'».

Ma poi si ricordano che al tempo del Coronavirus in Parlamento non si può parlare - e infatti tutti arrivano, votano e se ne scappano - e per non farsi parlare dietro i due alla fine evitano di parlarsi. Appena qualcuno, e sono in diversi, al centro dell’emiciclo di Montecitorio si attarda un po’, il presidente Fico interviene: «Vi prego di non sostare lì e di rispettare le regole che ci siamo dati». Ossia non avere contatti di alcun tipo, e stare in Parlamento come si stesse in quarantena. E Fico in continuazione richiama i deputati all’ordine: «Non create capannelli, rispettate la distanza di un metro, votate dal posto che avete scelto e andate via».

SU OGNI SCRANNO
Non prima naturalmente di fare una ultima ripassata di amuchina, visto che c’è una boccetta anche su ogni singolo scranno. Commenta il democristian-berlusconista Rotondi: «Io la mascherina non ce l’ho». Altri la esibiscono, e c’è chi la porta in tasca. «L’atmosfera spettrale che c’è fuori si riflette perfettamente dentro il Palazzo», dice il deputato Giorgio Mulé.

Si vota per scaglioni - no, l’assembramento no! - e al Senato il questore anziano De Poli dirige il traffico: «Ora tocca al contingente delle 18,15. Si prepari quello delle 18,45». Vota anche - «Sei vivo, Ste’?», così gli amici si rivolgono al ministro Stefano Patuanelli - il titolare del Mise uscito per l’occasione dalla volontaria quarantena e voglioso di rassicurare tutti: «Il mio tampone è negativo». Chi nell’altro ramo del Parlamento non c’è è il deputato Pedrazzini, originario di Lodi, aderente al Gruppo Misto. È quello risultato positivo al virus. Chi di solito siede nei suoi paraggi in aula è stato invitato a sua volta a restare a casa. Gli altri lo chiamano e Pedrazzini risponde al telefono: «Sto bene, ho solo qualche linea di febbre e qualche colpo di tosse». Qui intanto non c’è ammuina ma è tutta un’amuchina.
 

 
 

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