Coronavirus, Marcello Tavio: «Il picco ad aprile? Solo Pechino conosce le dimensioni del morbo»

Coronavirus, Marcello Tavio: «Il picco ad aprile? Solo Pechino conosce le dimensioni del morbo»
Coronavirus, Marcello Tavio: «Il picco ad aprile? Solo Pechino conosce le dimensioni del morbo»
di Graziella Melina
Mercoledì 29 Gennaio 2020, 00:52 - Ultimo agg. 12:30
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L’entità della diffusione del coronavirus non è ancora chiara. Di sicuro, in Italia «noi siamo pronti ad affrontare un’eventuale epidemia autoctona», dichiara Marcello Tavio, presidente della Simit (Società italiana di malattie infettive e tropicali), che già dalla scorsa settimana ha attivato una specifica unità di crisi, e ora ha in mano «una serie di strumenti di lavoro proprio per gestire questa prima fase dell’epidemia».

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Secondo il team guidato dal preside della facoltà di medicina dell’Hong Kong University, Gabriel Leung, tra fine aprile e maggio in Cina ci sarà il picco dell’epidemia. Come se lo spiega? 
«Noi in Occidente possiamo contare soltanto sui dati dell’Oms. Questi numeri non ci permettono di fare previsioni né a breve, né a lungo termine. Soltanto le autorità cinesi hanno il polso della situazione. Probabilmente, anche loro si stanno rendendo conto solo ora delle reali proporzioni dell’epidemia». 



Neanche i dati dell’Università sono attendibili?
«Se fossero stime corrette, sarebbe sicuramente una epidemia fuori controllo da parte delle autorità. Cominciata e lasciata senza controllo mesi fa. Il che significa che molti Paesi potrebbero essere raggiunti da malati in grado di trasmettere il virus. a i dati non sono ancora stati recepiti dall’Oms».

C’è il pericolo, dunque, che molte persone, magari ignare di essere infettate, lo trasmettano ad altri? 
«Il problema delle persone infette asintomatiche, per quello che si sa, è che possono ammalarsi. Nel momento in cui si ammaleranno, potrebbero trasmettere il virus. Non è ancora chiaro invece se le persone asintomatiche possono trasmettere l’infezione. In realtà, sarebbe piuttosto inusuale. Quello che sappiamo, infatti, di queste malattie è che di solito sono trasmissibili nella fase sintomatica, nel giorno immediatamente precedente la conclamazione della malattia». 
 



Ma in Italia c’è il pericolo che questa epidemia si diffonda?
«L’Italia è a rischio come tutto il mondo, in caso di pandemia, ovvero di epidemia generalizzata. È ovvio poi che nei Paesi dove arriva il virus e si sviluppano casi secondari, cioè casi che vengono acquisiti in loco e non sono di esportazione, sono necessari maggiori controlli dell’epidemia. In questo momento, c’è un caso in Francia, forse uno in Germania».
 
 


Perché i casi secondari sono un segnale di allarme?
«Il caso secondario è importante perché dimostrerebbe la trasmissione locale del virus. Se noi abbiamo solo casi di persone che sono tornate dalla Cina, il problema è importante, ma non è gravissimo. Se invece queste persone, per qualche motivo, trasmettono il virus a qualcuno che non è mai stato in Cina, è evidente che è avvenuta la trasmissione locale. Per il momento, però, ribadisco, in Italia non ci sono né casi di importazione, né tantomeno casi secondari». 
 

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