Coronavirus, Lorenzo sceglie di non partire dalla Cina: «La mia famiglia deve restare»

Coronavirus, Lorenzo sceglie di non partire dalla Cina: «La mia famiglia deve restare»
Coronavirus, Lorenzo sceglie di non partire dalla Cina: «La mia famiglia deve restare»
di Mauro Evangelisti
Giovedì 30 Gennaio 2020, 00:53 - Ultimo agg. 00:54
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«Ma davvero c’è qualcuno che ha deciso di restare? No, io parto» dice parlando al telefono, Lorenzo Di Berardino, 22 anni, studente abruzzese che, dopo sei mesi di percorso di studio all’università di Wuhan, sarebbe dovuto tornare a casa proprio qualche giorno fa, appena dopo la chiusura della città. Eppure sì, in questa megalopoli in cui gli stradoni tra i grattacieli sono vuoti, in cui dalle finestre le persone chiuse in palazzoni di 10-20 piani si urlano a vicenda “Wuhan jiaou” (Coraggio Wuhan) per farsi forza, c’è anche chi ha risposto “no, grazie, io resto”. L’Ambasciata ha offerto a tutti un posto nel volto di ritorno per l’Italia.

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Wuhan è una città che drammaticamente stiamo conoscendo solo ora in Occidente, ma è molto dinamica dal punto di vista economico, in espansione, con un respiro internazionale, importanti università e un aeroporto moderno che ha (anzi aveva) anche un volo diretto per Roma. Tra gli italiani di Wuhan non ci sono solo studenti, ma anche connazionali che sono andati lì a lavorare e a costruirsi una vita. E tra loro, c’è chi non parte. I dati: 50 che saliranno sull’aereo. Quattro o cinque resteranno.

Come il manager veneto Lorenzo Mastrotto, 46 anni, che a Wuhan vive dal 2006, è il responsabile vendite di un’azienda italiana, è sposato con una donna cinese e ha due figli. Ha raccontato al Giornale di Vicenza: «Non partirò, mia moglie e mio figlio non potrebbero seguirmi perché i cinesi non possono lasciare la città e si creerebbe un precedente: loro dovrebbero restare. E allora resto anch’io, non posso abbandonarli. Comunque nella nostra casa ci sentiamo sicuri». Secondo Mastrotto, oltre agli studenti, tra gli italiani di Wuhan (e della provincia di Hubei) ci sono venticinque residenti, con professionalità e competenze che hanno consentito loro di fare carriera.

COLLEGAMENTI
E se tra i residenti storici c’è una rete di aiuto e solidarietà consolidata, discorso differente è quello degli studenti. Lorenzo Di Berardino, lo studente abruzzese, racconta: «Questi sei mesi sono stati bellissimi, è stata una esperienza molto importante. Certo, la situazione è diventata difficile, la città chiusa, ma non è vero che non c’è da mangiare. Quando usciamo per la spesa usiamo la mascherina, ma ora che l’Ambasciata ci ha dato la possibilità di rientrare, io parto. Sarei dovuto partire comunque, perché ho finito il mio percorso di studi di sei mesi». In un mondo sempre più piccolo e collegato, gli studenti italiani che decidono di migliorare le proprie competenze anche in Cina sono molti. Anche a Wuhan.

Un’altra ragazza che ieri sera stava preparando le valigie è la siciliana Laura Turdo, 26 anni: è di Castelvetrano, provincia di Trapani, si è laureata in Lingue e Cultura Straniera, ed è a Wuhan da settembre per perfezionare la lingua grazie a una borsa di studio dell’Istituto Confucio di Macerata. Anche ieri sera era nel campus universitario Ccnu. Su Instagram ha condiviso l’immagine di un enorme viale della città vuoto. E sulla chat racconta: «Mi perdoni, mi stanno arrivando molte richieste di giornalisti. Ma ormai non ho il tempo di rispondere: ho accettato di partire per l’Italia». In questi giorni, come gli altri studenti stranieri che trascorrono le giornate del dormitorio, è uscita ogni tanto per fare la spesa, anche lei con guanti e mascherine. «Preferiamo cucinare - ha raccontato - anche se normalmente, prima andavamo sempre a cena fuori. Ma ora viene sconsigliato di frequentare ristoranti. Per me la Cina è un Paese straordinario, per la cultura, la lingua, il pensiero». 

C’è un filo comune, pur in questa situazione di grande tensione, che unisce gli “italiani di Wuhan”, i manager e gli studenti: tutti portano un bel ricordo della Cina, ne sono innamorati. E forse si sentono anche un po’ in imbarazzo rispetto agli amici cinesi che non possono abbandonare la città, e agli studenti di altre nazioni i cui Paesi non hanno organizzato il rimpatrio. Petra Vidali è una studentessa veneziana, ha 23 anni, e ripete quasi serena: «Leggendo i tabloid stranieri sembra che qui vi sia la fine del mondo, ma non è così. Noi studenti del dormitorio dell’università restiamo uniti». E anche lei, che frequenta la Huazhong University of Science and Technology per un master, è innamorata dalla Cina: «Il primo impatto è stato difficile, ma dopo una settimana ero già abituata». Ma per molti degli italiani di Wuhan è arrivato il giorno del ritorno.
 

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