Fermatevi, le istituzioni ​collaborino

di Massimo Adinolfi
Martedì 27 Ottobre 2020, 00:00
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Di nuovo i bollettini, di nuovi i numeri dell’epidemia, di nuovo i decreti della Presidenza del Consiglio: chi non sente il peso di quel «di nuovo»? L’orizzonte si restringe un’altra volta, le prospettive si fanno daccapo incerte, complicate, persino drammatiche.

Di nuovo, ma non è come la prima volta. Perché siamo tutti più stanchi, e molti sono più in affanno di quanto non siano già stati a marzo, ad aprile.

Di quanto lo siamo stati nei mesi in cui strade, piazze, uffici, negozi sono rimasti a lungo deserti, e l’Italia si è fermata. Di nuovo: un’altra volta? Proprio per questo, proprio perché è più difficile costruire una risposta altrettanto ferma, altrettanto rigorosa, di una cosa almeno c’è bisogno: di unità di intenti, di collaborazione fra i livelli di governo, di senso di responsabilità, di sobrietà nei linguaggi e nei comportamenti. In una parola: di serietà. Ora, nessuno pensa che la normale dialettica politica non possa o non debba svolgersi, secondo le forme che sono proprie della vita democratica. Ma nessuno può far finta che non si sia sull’orlo di una possibile tragedia, con un Paese stanco e fiaccato da mesi di emergenza, da cui, di colpo, sembra non essere mai uscito. Era un’illusione il sospiro di sollievo tirato in estate? Forse. Si sarebbe potuto arrivare più preparati all’appuntamento con la seconda ondata? Sicuramente.

Ma non resta in queste ore meno necessario mostrare la determinazione richiesta dal presidente Mattarella: «il vero nemico di tutti e di ciascuno – ha detto – è il virus. Il responsabile di lutti, di sofferenze, di sacrifici, di rinunce, di restrizioni alla vita normale è il virus».

Il nemico di tutti e di ciascuno: non della sola maggioranza o del governo. Non dei soli presidenti di Regione o dei sindaci, non del centrodestra o del centrosinistra. E allora com’è possibile che il primo cittadino di Napoli affacci anche solo l’ipotesi di partecipare a una manifestazione di piazza per protestare contro l’ultimo Dpcm e contro l’ordinanza regionale? Poi ha cambiato avviso, «per evitare strumentalizzazioni o pretesti anche da parte di eventuali frange». Saggio dietro-front, anche se non ci voleva uno scienziato per capire che, strumentalizzazione o non strumentalizzazione, proprio non è il caso di soffiare sul fuoco della protesta. De Magistris ha tutto il diritto di non condividere le decisioni assunte da Palazzo Chigi o da Palazzo Santa Lucia, ma ha il dovere di dedicarsi prima di ogni altra cosa ai suoi compiti di sindaco, a far funzionare la città, i servizi sociali e i trasporti pubblici, invece di finire in chissà quale folla arrabbiata. Perché è vero: la rabbia è tanta, soprattutto in certe fasce sociali che pagano più duramente il prezzo delle misure adottate.

Ma dai vari livelli di governo ci si aspetta, in un simile frangente, collaborazione, non contrapposizione, comune assunzione di responsabilità, non esercizi di scaricabarile.

Quello che è vero tra comune e regione, è vero però anche tra regione e governo. De Luca non può dire che nel governo ci sono tangheri e sciacalli, non può parlare di «un atteggiamento di sciacallaggio ignobile da parte di un ministro improbabile». Se c’è una cosa improbabile, nel senso almeno che su venti presidenti di Regione non c’è nessuno che rilasci dichiarazioni simili, è proprio che si adotti un linguaggio così offensivo. I cittadini hanno il diritto di aspettarsi che la comunicazione istituzionale sia chiara, corretta, affidabile, univoca.

Non c’è bisogno di usare toni allarmistici: ci pensa già la realtà, con i numeri in crescita esponenziale, a suscitare tutto l’allarme di cui c’è bisogno. E non occorre neppure dare l’annuncio di provvedimenti restrittivi, dolorosi, con aria truce di biasimo o di rimprovero: quello che la collettività patisce è già abbastanza, perché debba anche essere colpevolizzata. 
Infine: quello che è vero tra enti locali e governo, è vero anche all’interno del governo e della maggioranza. Com’è possibile che, all’indomani di un Dpcm che segna il primo grave inasprimento delle misure di contenimento della seconda ondata, si ascoltino forze politiche e ministri prendere le distanze, fare distinguo, chiedere ripensamenti? Tutto si può dire o suggerire fino a un minuto, fino a un secondo prima della conferenza stampa di Conte. Un secondo dopo, però, ci si aspetta che le forze politiche di maggioranza difendano come un sol uomo l’operato del governo: almeno loro! E, quanto all’opposizione, va bene denunciare l’inadeguatezza dell’esecutivo: fa parte del gioco. A patto però che il gioco non sia condotto sulla pelle del Paese. Va bene dire tutto quello che non funziona o non ha funzionato, a patto però di dare una mano per farlo funzionare.

Perché una cosa deve essere chiara a tutti: non c’è tempo. E non per questo governo, ma per qualunque governo si insediasse al suo posto. La barca è la stessa: ci siamo dentro tutti. E chi si rifiuta di remare pensando di saltare fuori un istante prima che la barca affondi, fa semplicemente un calcolo sbagliato. Che non possiamo permetterci. Non ora, non mentre teniamo il fiato sospeso sperando che la situazione non precipiti ulteriormente. Il nemico è il virus: rinunciamo tutti a cercare vie di fuga e capri espiatori.
 

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