È la questione fondamentale del post-Covid, quando arriverà. Ed è questa: come si rinnova il nostro Paese, come si fa rinascere l’Italia nei prossimi anni? La risposta è semplice da enunciare ma difficile da praticare: puntando sull’eccellenza della futura classe dirigente, su élite capaci di diventare tali, formate sul criterio della competenza, consapevoli che nella sfida sul mercato internazionale dei cervelli - quella che decide chi decide nei singoli Paesi e sullo scacchiere del mondo - bisogna starci ben attrezzati e senza perdere un giro.
E invece, purtroppo, il giro noi lo stiamo perdendo. Se esci dal liceo italiano, dopo che tra lockdown e chiusure successive hai interrotto o comunque indebolito la tua formazione, e ti confronti con studenti di altri Paesi - Francia, Germania, Regno Unito e Spagna, le cui scuole di ogni ordine e grado sono rimaste aperte - non può che incidere il gap che si è creato tra chi il giro non lo ha saltato e chi è stato costretto a saltarlo.
Questo svantaggio italiano, magari replicabile anche nel prossimo anno e in quelli successivi se il virus non viene stroncato presto e bene, non può che manifestarsi lì dove si formano le classi dirigenti del mondo e delle varie nazioni a distanza di sicurezza da lui e non potranno sedersi quest’anno sulle sue ginocchia. Ma vabbé, sacrifici accettabili per i piccoli e per il portatore di doni rosso vestito: la mancanza di mascherina è una minima concessione ammissibile. Qui da noi come pensiamo di regolarci?
Il premier Conte ha già deciso, scrivendo a un Tommaso di 5 anni, che Babbo Natale deve sentirsi munito di un’autocertificazione che gli consente di girare dappertutto nonostante il coprifuoco, i Dpcm e le fasce gialle, arancioni e rosse e di lasciare liberamente regali a tutti i bambini. Che già lo sommergono di letterine con l’elenco dei desideri. E a volte su quei pezzi di carta o sulle mail c’è scritto: «Babbo Natale, ti chiedo soltanto un regalo, fammi vedere i nonni». Oppure: «Insieme al videogioco, vorrei pure che porti via il virus».
È importante che il Natale sia Natale, anche in questi tempi di paura, e ai bambini non va sottratto questo momento magico. Perché i simboli rassicurano, una festività così calda e luminosa infonde speranza, una tradizione tanto bella e certamente la più sentita non può essere negata a chi come i più piccoli ha lottato come noi, e talvolta meglio di noi, senza strepiti e senza capricci, nei lunghissimi mesi dell’emergenza Covid.
Hanno perduto tante certezze i bambini: la normalità della scuola, i nonni, lo sport.
Stanno già facendo l’albero i bimbi con i genitori. E gli addobbi. Sembra quasi che quest’anno si sia partiti prima nel preparare tutto, perché c’è bisogno più che mai - laicamente - di questa festa nazionale e familiare. Che funge da puntello quando tante altre consuetudini della normalità sono saltate. Dalla parte delle bambine e dei bambini occorre stare in questa occasione. Dei piccini che sono pronti a recitare, alla ristrettissima cerchia dei parenti la sera del 24 dicembre, una delle poesiole natalizie che già circolano, intitolata «Distanziati ma vicini»: «Quest’anno è un anno un po’ strano, in cui non ci si può tenere per mano. / Ma anche se siamo in pandemia, regaliamoci magia e allegria». Cioè i due doni che i piccoli fanno ai grandi e in cambio meritano che sia tutelato, sia pure con prudenza, l’immaginario infantile del Natale che è la loro ricchezza ma anche la nostra.