Con le scuole chiuse l'Italia resta indietro

di Mario Ajello
Mercoledì 2 Dicembre 2020, 00:00
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È la questione fondamentale del post-Covid, quando arriverà. Ed è questa: come si rinnova il nostro Paese, come si fa rinascere l’Italia nei prossimi anni? La risposta è semplice da enunciare ma difficile da praticare: puntando sull’eccellenza della futura classe dirigente, su élite capaci di diventare tali, formate sul criterio della competenza, consapevoli che nella sfida sul mercato internazionale dei cervelli - quella che decide chi decide nei singoli Paesi e sullo scacchiere del mondo - bisogna starci ben attrezzati e senza perdere un giro. 

E invece, purtroppo, il giro noi lo stiamo perdendo. Se esci dal liceo italiano, dopo che tra lockdown e chiusure successive hai interrotto o comunque indebolito la tua formazione, e ti confronti con studenti di altri Paesi - Francia, Germania, Regno Unito e Spagna, le cui scuole di ogni ordine e grado sono rimaste aperte - non può che incidere il gap che si è creato tra chi il giro non lo ha saltato e chi è stato costretto a saltarlo.

Questo svantaggio italiano, magari replicabile anche nel prossimo anno e in quelli successivi se il virus non viene stroncato presto e bene, non può che manifestarsi lì dove si formano le classi dirigenti del mondo e delle varie nazioni a distanza di sicurezza da lui e non potranno sedersi quest’anno sulle sue ginocchia. Ma vabbé, sacrifici accettabili per i piccoli e per il portatore di doni rosso vestito: la mancanza di mascherina è una minima concessione ammissibile. Qui da noi come pensiamo di regolarci?

Il premier Conte ha già deciso, scrivendo a un Tommaso di 5 anni, che Babbo Natale deve sentirsi munito di un’autocertificazione che gli consente di girare dappertutto nonostante il coprifuoco, i Dpcm e le fasce gialle, arancioni e rosse e di lasciare liberamente regali a tutti i bambini. Che già lo sommergono di letterine con l’elenco dei desideri. E a volte su quei pezzi di carta o sulle mail c’è scritto: «Babbo Natale, ti chiedo soltanto un regalo, fammi vedere i nonni». Oppure: «Insieme al videogioco, vorrei pure che porti via il virus». 

È importante che il Natale sia Natale, anche in questi tempi di paura, e ai bambini non va sottratto questo momento magico. Perché i simboli rassicurano, una festività così calda e luminosa infonde speranza, una tradizione tanto bella e certamente la più sentita non può essere negata a chi come i più piccoli ha lottato come noi, e talvolta meglio di noi, senza strepiti e senza capricci, nei lunghissimi mesi dell’emergenza Covid. 

Hanno perduto tante certezze i bambini: la normalità della scuola, i nonni, lo sport.

Stanno avendo una vita stravolta dalla pandemia e la vivono con ammirevole consapevolezza, rinuncia dopo rinuncia. Stanno a lungo chiusi in casa e lo accettano. Si lavano le mani in continuazione. Non si strappano la mascherina dalla faccia. Cercano di non ammassarsi. Sono dei piccoli italiani rigorosi e non lagnosi. E sembrano tartarughine con gli zaini pesanti perché a scuola i libri non si possono più lasciare, ma sorridono con il loro fardello sulla schiena anche alle 8 del mattino. Togliere la gioia del Natale a questi piccoli grandi eroi sarebbe una mancanza di sensibilità e di riconoscenza. Dare loro un Natale in sicurezza - con o senza la mascherina di Santa Claus - è la possibilità che ci resta e guai a sprecarla. Nulla è più uguale a prima ma un Natale che somigli il più possibile, tenendo presenti i limiti di questa fase e rispettandone le regole, è l’abc di quel bisogno di comunità che hanno i grandi e i piccini e che questi ultimi vivono e devono continuare a vivere anche quest’anno con quello stupore giocoso che gli appartiene. E che va custodito e protetto in tutti i modi compatibili con i tempi.

Stanno già facendo l’albero i bimbi con i genitori. E gli addobbi. Sembra quasi che quest’anno si sia partiti prima nel preparare tutto, perché c’è bisogno più che mai - laicamente - di questa festa nazionale e familiare. Che funge da puntello quando tante altre consuetudini della normalità sono saltate. Dalla parte delle bambine e dei bambini occorre stare in questa occasione. Dei piccini che sono pronti a recitare, alla ristrettissima cerchia dei parenti la sera del 24 dicembre, una delle poesiole natalizie che già circolano, intitolata «Distanziati ma vicini»: «Quest’anno è un anno un po’ strano, in cui non ci si può tenere per mano. / Ma anche se siamo in pandemia, regaliamoci magia e allegria». Cioè i due doni che i piccoli fanno ai grandi e in cambio meritano che sia tutelato, sia pure con prudenza, l’immaginario infantile del Natale che è la loro ricchezza ma anche la nostra.
 

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