Perché conviene abbassare i toni contro il virus

di Mauro Calise
Lunedì 16 Novembre 2020, 00:00
4 Minuti di Lettura

Avrà pure ragione Aldo Cazzullo quando punta il dito contro la mediocrità del nostro ceto politico. Anche se, personalmente, faccio fatica a rimpiangere quello – che sarebbe stato migliore – della Repubblica di Quo vado, quando i magistrati saltavano per aria, il terrorismo – di destra e di sinistra – metteva a ferro e fuoco la penisola e la Cia non si sapeva se proteggeva l’Alleanza o i brigatisti che rapivano gli statisti.

Resta il fatto che qualcuno – oggi - al governo potrebbe fare meglio il suo lavoro, e potrebbero farlo meglio le regioni che, in questa fase delicatissima, mandano «segnali sbagliati» al Paese. Però, per essere equanimi, i segnali sbagliati provengono anche – e molto – da buona parte della stampa. I cui toni sono diventati, in queste ultime settimane, accesi e unilaterali. Soprattutto la stampa che pesa di più sull’opinione pubblica, quella televisiva e radiofonica.
Durante tutta la prima ondata, l’attenzione sulla disinformazione era focalizzata sulla rete, le fake news, i negazionisti. E il web resta un circuito caldissimo, e apertissimo a tutti i tipi di sortite, dal basso e anche dall’alto. Ma non va sottovalutato – anzi – il ruolo degli opinionisti d’assalto che oggi conducono i programmi audiovisivi di maggiore successo. Il fenomeno è tanto più preoccupante perché coinvolge – in una sorta di sdoppiamento della personalità alla Poe – anche illustrissimi nomi della migliore carta stampata. Ho fatto un balzo sulla poltrona, l’altra sera, vedendo il mio elzevirista preferito – la cui acutezza e raffinatezza di scrittura non ha niente da invidiare a La Rochefoucauld – trasformarsi in un Torquemada intemerato in sella al piccolo schermo. Da studioso di comunicazione, so bene che il media è il messaggio.

E, infatti, il problema non è il singolo comunicatore che sbaglia, o si abbaglia. Se li analizzate tutti insieme, vi accorgereste che la grande maggioranza ha imbroccato – come stile argomentativo – quello della requisitoria. Se vi va bene, vi può capitare un quasi-interrogatorio, col politico malcapitato di turno che ha tempo per un paio di monosillabi difensivi tra un j’accuse e l’altro. Il diritto di cronaca è sacro. Ci mancherebbe. Ma siamo sicuri che questi toni aiutino a dare una mano al paese, e ai politici che – per mediocri che siano – hanno il compito di provare a governarlo?

Il rischio è che sotto l’implacabile bombardamento del virus si perda di vista la drammatica complessità della sfida cui è sottoposto il regime democratico.

Una sfida dalla quale non sappiamo se e come ne usciremo. Per parlare fuori dai denti, attualmente è in atto, in America, un tentativo di golpe. Al momento, strisciante, entro i margini – si fa per dire – della legalità. E con le piazze ancora sotto controllo. E, come è giusto fare in questo caso, meglio non pronunciare la parola. E far finta che vada tutto bene. E di non aver sentito, per esempio, il Ministro della Giustizia in carica dichiarare che sarà sua premura garantire il passaggio pacifico dei poteri. Da Trump 1 a Trump 2. Ma avete provato a immaginare cosa - di fronte a questo showdown – starebbe succedendo in una delle grandi democrazie europee, dove – per nostra sciagura – di prese autoritarie del potere abbiamo una certa esperienza? E siete proprio così sicuri che non si stiano creando, anche su questa sponda dell’Atlantico, le spaccature laceranti da cui possono d’improvviso scaturire le tentazioni di un colpo di mano?

Non lo so. Studio da decenni l’evoluzione delle democrazie, e il principale tratto comune – e pervicace – è il rafforzamento delle leadership, sempre più personali. E solitarie. Sono quelle che non hanno paura quando i media alzano i toni. Perché loro li sanno alzare più forte. A salvarci, il più delle volte, arriva lo scivolone di rito. Ma non è un canovaccio obbligato. Altre volte il leader si consolida, e diventa difficile cacciarlo. Usa docet. Come Brasile ed India. E i paesi europei che ci stanno, con sorti ancora alterne, provando. Per un miracolo che non so spiegarmi, le elite parlamentari nostrane – in Italia, come in Germania, in Francia – stanno riuscendo a reggere botta a uno tsunami dalle proporzioni impensabili, imprevedibili e al momento – purtroppo – ancora incommensurabili. La mia impressione – voglio essere ottimista – è che possiamo farcela. Se provassimo ad abbassare i toni, forse sarebbe un po’ più semplice.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA