Covid, seconda ondata: in Italia l'aumento di morti più alto d'Europa

Covid, seconda ondata: in Italia l'aumento di morti più alto d'Europa
di Marco Esposito
Mercoledì 25 Novembre 2020, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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Cade l’ultimo mito: che la seconda ondata sia meno letale. Gli 853 morti fatti registrare ieri in Italia sono il terzo valore più alto in assoluto dopo le 919 vittime di Covid registrate il 27 marzo e le 889 del 28 marzo. La prima ondata ha fatto in quattro mesi quasi 35mila morti mentre la seconda poco più di 16mila ed è ancora lontana dall’esaurirsi.

Sui numeri della pandemia, però, non ci si può mai limitare a leggere le cifre. A febbraio, marzo e aprile - infatti - si facevano molti meno tamponi e tante persone sono morte di Covid senza alcuna diagnosi. Oggi presumibilmente il fenomeno è più contenuto. Inoltre è sempre aperto il tema di quante persone decedute con diagnosi di Covid siano in realtà vittime di altre patologie e il coronavirus rappresenti soltanto una concausa. Un modo diretto per verificare cosa sta accadendo è confrontare i numeri di tutti i decessi, per qualsiasi causa, tra il 2020 e un analogo periodo del 2019. In Italia come nel resto d’Europa.

Eurostat sta cercando di attrezzarsi in questa direzione ma al momento con dati assolutamente parziali. Dal 2009 però c’è un consorzio dal nome Euromomo che tiene d’occhio eventuali picchi di letalità (momo sta per «monitoraggio mortalità») e la situazione attuale, aggiornata alla settimana numero 45 (cioè 2-8 novembre) vede l’Italia nella peggiore condizione d’Europa con un aumento di decessi del 15% rispetto allo standard.

Nel momento peggiore della pandemia e cioè la settimana 14 (30 marzo-5 aprile) in Italia i morti sono aumentati del 17% rispetto alla media di quel periodo. Tutto lascia credere che i dati delle settimane successive (quella in corso è la 48) porteranno un ulteriore peggioramento del trend in Italia.

L’aumento di morti registrato da Euromomo è un eccellente indicatore dell’andamento non soltanto dei picchi di pandemia ma anche della tenuta del sistema sanitario. Secondo l’Istat e l’Istituto superiore di sanità, infatti, il fortissimo incremento di vittime in Italia nel periodo marzo-aprile era dovuto sia agli effetti letali del Covid sia alla saturazione del sistema sanitario, soprattutto in Lombardia, con una insufficiente capacità di risposta di fronte al sorgere di altre patologie nella popolazione. 

 

I dati Euromomo sono definitivi per la prima ondata mentre hanno ancora un carattere provvisorio per l’ondata in corso. L’Italia, al contrario di quanto si possa credere, non è stata affatto la più colpita durante la prima ondata. Il 17% di aumento di morti nella settimana 14, infatti, si confronta con il 42% della Spagna e il 36% dell’Inghilterra (con il picco nella settimana 15) ed è meno grave anche del 24% della Francia, del 21% dell’Olanda e del 19% del Belgio. La Svezia, con il suo metodo del fidarsi della popolazione, fece registrare comunque un aumento di morti del 13% mentre la Svizzera del 12%. L’eccezione positiva in Europa è stata la Germania, la quale però aderisce a Euromomo soltanto in parte e cioè con i länder dell’Assia e di Berlino, i quali contano 10 milioni di abitanti su 83. L’aumento registrato in quei due territori era coerente con i dati ufficiali comunicati dal sistema sanitario tedesco e cioè poco sopra i 2 punti percentuali.

L’Italia quindi nel corso della prima ondata non ha fatto registrare una mortalità particolarmente elevata e questo si spiega anche con il fatto che la diffusione del coronavirus era molto concentrata in alcune regioni. Grazie a un tempestivo e rigido lockdown, scattato il 9 marzo, il virus ha circolato in pratica quasi soltanto al Nord Italia, fenomeno senza alcun equivalente in Europa dove invece i contagi sono stati piuttosto omogenei in ambito regionale, con una maggiore densità nelle grandi aree metropolitane come Londra, Parigi, Madrid e Barcellona mentre in Italia durante la prima ondata le città metropolitane di Roma e di Napoli sono apparse immuni. Merito ovviamente delle chiusure preventive.

E adesso? I dati di Euromomo, va ripetuto, non hanno carattere definitivo tuttavia i valori della settimana 45 (2-8 novembre) non replicano la situazione delle settimane 14-15. La Spagna - che era stata la peggiore d’Europa durante la prima ondata - sta fronteggiando un aumento di decessi del 12%, contro il 42% di inizio aprile. L’Inghilterra secondo i dati più aggiornati è al 6% di maggiore mortalità contro il 36% della prima ondata. C’è un solo Paese che ha già superato il picco di marzo-aprile ed è la Svizzera, che a inizio novembre doveva fronteggiare un rialzo di mortalità di oltre il 13% contro il 12% di massimo a inizio aprile. Ma anche il 13% della Svizzera è comunque inferiore al 15% dell’Italia.

La seconda ondata è visibile nel trend di decessi in Belgio (13%), Francia (10%) e Olanda (8%) ma sempre per il momento su valori meno elevati rispetto alla scorsa primavera. Ci sono invece Paesi dove la mortalità a inizio novembre appare assolutamente in linea con quella storica, come la Germania (sempre limitatamente al monitoraggio in Assia e a Berlino), Svezia e Irlanda. Ciò non vuol dire, ovviamente, che non ci siano contagi di Covid-19 in tali territori o che non si piangano vittime, tuttavia questi casi non incidono in modo sensibile sul totale di vittime per tutte le cause del periodo. Del resto c’è un gruppo di Paesi tra quelli monitorati da Euromomo che non hanno fatto registrare incrementi sensibili di mortalità durante l’intero 2020: sono Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia, Lussemburgo, Malta, Norvegia, Ungheria. Altri come Austria, Slovenia e Portogallo non hanno conosciuto picchi durante la prima ondata mentre appaiono, sia pure su dati provvisori, sotto l’attacco del coronavirus in questo periodo.

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Ma è possibile che nonostante il rafforzamento del sistema sanitario e l’esperienza fatta la mortalità da Covid-19 in Italia sia sempre la stessa? I numeri lo suggeriscono però bisogna tener conto della maggiore estensione territoriale, con il Mezzogiorno stavolta pienamente coinvolto. A marzo, inoltre, dal momento della diagnosi al decesso trascorrevano pochi giorni per cui il record di contagiati del 21 marzo portò un picco di vittime il 27, appena sei giorni dopo. Stavolta i tempi sono più diluiti e il massimo di diagnosi del 13 novembre ha portato (finora) un picco a distanza di undici giorni. E aver raddoppiato il tempo è segno di migliore tenuta del sistema sanitario. In attesa del vaccino.
 

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