Coronavirus a Napoli, vince l'ambiente: mare cristallino e cielo azzurro

Coronavirus a Napoli, vince l'ambiente: mare cristallino e cielo azzurro
di Antonio Menna
Lunedì 6 Aprile 2020, 00:00 - Ultimo agg. 11:04
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Il mare è turchese, il cielo è azzurro, i gabbiani prendono il largo e gli uccelli dominano lo sguardo sull’orizzonte. Non succede nulla di strano a Napoli, nei giorni del virus, se non che la natura intona libera il suo canto. Ma noi tutti ce n’eravamo dimenticati, per cui siamo meravigliati. Ci pare incredibile che l’aria torni a farsi respirare. Come con un corpo nudo, esplodono i sensi della città. Senza auto, senza traffico, senza persone, senza rumori di fondo, i luoghi sembrano togliersi i vestiti, liberarsi di ogni inutilità. La Napoli cruda lascia a bocca aperta. Ma guardate quanto è bella, dicono tutti in questi giorni condividendo video sui social, foto dai balconi sul panorama terso. Sembra il mare della Sardegna. Ma il mare è sempre lo stesso, a volte mutano i fondali. Ma il mare è il mare, sta sempre là, come cantava Pino Daniele. Cambia invece il mondo intorno. Senza gli uomini, la città sembra ritrovare colore. Il virus è invisibile, semina morte negli anfratti, chiude le persone nelle case, a volte tristemente negli ospedali. Ma beffardamente consente alla natura di riprendersi il suo. Il presepe è bello, scriveva Eduardo, ma i pastori non sono buoni. Oggi che i pastori sono chiusi in casa per evitare la morte, il presepe esplode di vita. 

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Il primo elemento ad avere conquistato l’attenzione è stato proprio il mare. Non solo quello di Posillipo. Ma quello di città. Mergellina, via Caracciolo, oppure quello dimenticato a ridosso della vecchia zona industriale, che si ammira perfino da Taverna del Ferro di San Giovanni. Una distesa di colori cristallini, di riflessi dorati, con centinaia di foto che hanno invaso i social. Che è successo al mare di Napoli? È successo che mentre il virus soffoca noi, ha dato respiro alle acque. Niente barche a bruciare combustibile. Tutta la città ha spalancato i polmoni, ed è davvero beffarda questa consonanza tra la nostra aria mangiata dal virus e l’aria che arretrando lasciamo all’atmosfera. Tangenziale vuota, meno bus. Si calcola che quindici giorni di chiusura al traffico di una strada ad alta intensità riducono le emissioni di Co2 di 130mila tonnellate. È come se i polmoni della città avessero smesso di fumare. Le scuole chiuse fanno risparmiare 800 tonnellate di Co2 di riscaldamento. Le aziende riducono le emissioni di Pm10, le famigerate polveri sottili. Si riducono le emissioni di biossido di azoto e di biossido di zolfo, meno spazzatura da smaltire, meno fumi di scarico delle cucine industriali. Perfino la riduzione dei voli aerei (una rotta di corto raggio consuma 10mila kg di carburante) alleggerisce l’aria. Dal Vomero il Vesuvio e Capri si vedono come non mai. Non ci sono coltri, perfino quella nube di rugiada che all’alba faticava a salire ora non c’è più, e trasforma lo sguardo sul cielo: di notte le stelle, di giorno l’azzurro. 
 


I gabbiani riprendono il largo, lo hanno notato tutti. Il motivo è banale: si avventuravano nei vicoli sapendo che avrebbero trovato cibo sui mucchi di spazzatura. E infatti picchiavano come matti sui cestini gettacarte, spillando residui di pizze fritte, di panini, di patatine lasciate lì tutto il giorno da frotte di turisti. Ora i gabbiani affamati rivanno verso il mare, a cercare il pesce, e diventano di nuovo filiformi, eleganti, come il Jonathan Livingston di Richard Bach che si allenava a volare. Anche i piccioni sono a dieta mentre si aggirano disorientati sui tavolini vuoti dei bar all’aperto. Niente più noccioline da rubare agli aperitivi. Bisognerà anche per loro tornare alle origini. È una Napoli pulita, poi, come non mai. Non una carta a terra in via Toledo, in piazza Dante, in via Chiaia. La sensazione complessiva è di una città linda e sana. Verrebbe voglia di attraversarla tutta a piedi, se solo si potesse. Ma la grande beffa, ancora una volta, è questa. Quando si fa più vivibile, non può essere vissuta. Guardare e non toccare. 

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Ma ogni corpo nudo mostra la sua bellezza e anche le ferite nascoste, le periferiche imperfezioni.
Senza trucco, senza vestiti, senza il movimento caotico che tutto copre, esce la verità. E la Napoli cruda non è solo bella. Anzi, a ben percorrerla, fuori dal circuito panoramico, è più brutta che bella. Senza le auto, sui palazzi compaiono le crepe, la muffa che sale, i tagli verticali, gli abusi, gli sfregi, il buio di certi vicoli. Esplodono tutte insieme le rovine, i marciapiedi rotti, i pali della luce piegati. E risalgono dalle fognature - le saittelle - anche i topi disorientati. Nel centro storico non se ne sono mai visti tanti, e mai così nervosi. La gente lancia secchiate di creolina dai bassi, confidando nel suo antico potere disinfettante, e questi rivoli arrivano nelle tane dei roditori, che peraltro cercano cibo nella spazzatura che non c’è. Ristoranti, bar, trattorie, pasticcerie, friggitorie, col cibo da strada, erano la Las Vegas dei topi. Su ogni residuo, su ogni boccone si avventavano a decine. Oggi si aggirano spaventati e affamati. Come i cani randagi. E come - purtroppo - i clochard, uomini e donne senza casa a cui non si può quindi dire di rimanerci, e restano per strada più soli e più poveri ancora. A vederla bene, alla fine, non è così bella la città senza le persone. È una natura morta, di vita apparente, un mondo immobile. La perfezione cupa di un manichino. Ci voglio i pastori, altrimenti che presepe è?

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