Coronavirus a Napoli: «Io, sul fronte del Cotugno assisto i malati per 18 ore»

Coronavirus a Napoli: «Io, sul fronte del Cotugno assisto i malati per 18 ore»
di Giuliana Covella
Lunedì 16 Marzo 2020, 23:09 - Ultimo agg. 17 Marzo, 09:01
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«Cerchiamo di far sentire tranquilli i pazienti, che a volte si lasciano sopraffare più dalla paura che dalla patologia stessa. Eroi? No, siamo persone normali che tentano di fare il proprio dovere verso chi soffre». Dopo oltre 15 ore di lavoro (a volte anche 18), dopo aver assistito ammalati affetti da Coronavirus e non solo («perché da noi sono tante le malattie infettive che richiedono l’isolamento dei pazienti affetti ad esempio da tubercolosi o meningite»), dopo aver tentato di salvaguardare la propria vita e quella degli altri adottando con coscienza e scrupolosità ogni misura prescritta dai decreti del ministero della salute, Raffaele Bellopede, caposala del pronto soccorso dell’ospedale Cotugno, risponde con garbo e pacatezza al telefono. «Dobbiamo essere rassicuranti per forza - dice - è nostro dovere non solo assistere i degenti che arrivano qui, ma anche e soprattutto rassicurare tutti quelli che sono all’esterno di questa realtà». Una realtà che è quella del Cotugno, eccellenza della sanità campana, che in queste drammatiche settimane sta operando con tutto lo staff medico e infermieristico per curare le persone che vi sono ricoverate per aver contratto il Covid-19 e, nel contempo, tranquillizzare quelli che per fortuna sono rimasti immuni dall’epidemia. 
 

 

«Per riuscire a superare questo terribile momento - spiega l’infermiere, di Marcianise, al lavoro al Cotugno da 15 anni - dobbiamo anzitutto rispettare poche e semplici regole: restare a casa, perché solo così possiamo fermare il contagio. E se proprio non si può, ridurre le uscite al minimo necessario. Non sentirsi super uomini, pensando di sfidare il rischio. Più si resta isolati, più si riescono a contenere le infezioni. E una volta per strada evitare gli assembramenti, indossare la mascherina, mantenere la distanza di un metro tra una persona e l’altra, lavarsi le mani di continuo e, non ultima raccomandazione, andare in ospedale solo se si avvertono sintomi importanti». 
 

Operativo, insieme agli altri colleghi, sin dalle prime luci dell’alba, tutti i giorni in viaggio tra Marcianise e Napoli, senza badare a giorni festivi e straordinari in periodo di emergenza. «Facciamo - dice - tre turni, mattina, pomeriggio e sera. Nessuno di noi si risparmia. Se c’è da rimanere oltre il proprio turno, ognuno di noi resta senza sottrarsi per aiutare i colleghi e assistere i pazienti più bisognosi. Io stesso spesso arrivo al mattino alle 7 a vado via anche all’una di notte. Ma come me tanti altri infermieri, medici e operatori socio-sanitari». In pronto soccorso Bellopede guida una squadra di tre infermieri, tre medici e tre operatori socio-sanitari; «abbiamo inoltre due tende all’esterno che fanno un pre-triage e accolgono i codici bianchi, mentre da noi arrivano i codici rossi». Anche nei reparti del Cotugno si lavora «con le dovute precauzioni e seppure in mezzo a tante difficoltà, come del resto accade in tutti gli ospedali in queste ore». In prima linea per combattere patologie infettive gravi, l’infermiere ha già affrontato in passato altre emergenze di epidemie: «Nel 2014 abbiamo dovuto far fronte all’Ebola con l’arrivo di tanti immigrati nel porto di Napoli, ma per fortuna non vi furono persone infette se non casi sospetti. Prima ancora, nel 2009, l’influenza H1N1, una pandemia che causò migliaia di morti e centinaia di migliaia di contagi nel mondo. Con il Covid-19 eravamo già preparati, perché anche se sembrava a tutti lontano, venendo dalla Cina, da metà gennaio siamo stati in allerta, trattandosi di un virus a trasmissione aerea. Non ci aspettavamo però arrivasse anche da noi con tale forza». Oggi al Cotugno ci sono 66 pazienti accertati, 14 sospetti e 8 accertati in terapia intensiva, circondati dall’umana solidarietà di professionisti come Raffaele e gli altri operatori sanitari. «Dal primo all’ultimo, tutti noi del personale cerchiamo di trasmettere loro vicinanza e umanità.
Abbiamo inoltre attivato sportelli di ascolto con i nostri psicologi. A loro diciamo: non è una catastrofe. Siamo fiduciosi, passerà».

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