Coronavirus, per ripartire non basta stanziare (tanti) soldi

di Sergio Beraldo
Giovedì 2 Aprile 2020, 23:31 - Ultimo agg. 3 Aprile, 07:00
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Sul Polcevera, a Genova, c’era un ponte. Miseramente sbriciolatosi nel 2018 con i sogni di chi passava di là, senza neppure sapere che era un ponte sul Polcevera. Brutto era brutto, quel ponte, ormai, questo si vedeva. Incuneato tra i palazzi come un asse di legno tra i chiodi; di morir d’incuria certo, per non morir di noia, attendeva forse il momento. 

E quando fu il tempo, quel ponte sembrò frantumare, crollando, le nostre ultime, residue speranze. Sembrò trascinare con sé, nella caduta, il sogno di un Paese dove l’autostrada non ti frana sotto le ruote nel bel mezzo d’agosto. Ad agosto i ponti non dovrebbero crollare, anche se piove. Soprattutto in Italia, quando i ministeri sono chiusi e i politici si esibiscono sulle spiagge, e per la giungla introversa delle norme, e delle responsabilità da districare, i magistrati non possono che sigillare tutto, e sedersi affranti a riflettere sul da farsi. 

Ed è dunque stupefacente, per certi versi incredibile, che un ponte che non crollerà sta per essere ultimato a Genova, negli stessi luoghi dove c’era un ponte morto d’incuria e di noia, ad agosto. È stupefacente che il cantiere sia tutt’ora in attività; che si stiano montando travi da molte migliaia di tonnellate; che nonostante l’epidemia che tutto paralizza si annunci solo un lieve ritardo sulla scadenza del 27 giugno. La dimostrazione di quanto si può fare, anche in Italia, non appena si allenti la morsa dei codicilli e si individuino anzi meccanismi in grado di evitarne il morso. 

Come chiarì il Commissario straordinario per la ricostruzione del ponte, Marco Bucci, i punti più critici del suo piano non riguardavano l’approvvigionamento delle materie prime o il reclutamento della forza lavoro; non l’ingaggio da garantire a un bravo architetto. Ma, più banalmente, la possibilità di individuare un meccanismo di assegnazione blindato, soggetto il meno possibile a ricorsi, per far sì che i lavori potessero effettivamente svolgersi. Un meccanismo per proteggersi dalle obiezioni che tutto paralizzano, dalla valanga di ricorsi incentivati dall’affollamento normativo che impropriamente consentiamo, a tutela di un’onestà che non viene però così tutelata.

L’esempio di Genova è ora particolarmente propizio. Nel momento in cui si comincia a fare strada la speranza che il contenimento del Covid-19 avrà buon esito, e si intravede dunque il momento in cui si potrà avviare una difficile ricostruzione, l’esempio di Genova è forse il migliore che abbiamo. Ad esso possiamo aggrapparci, per esaminare come si possano affrontare due questioni chiave: la paralisi prodotta dalla bulimia normativa, lo spreco di risorse che consegue al distorto utilizzo delle stesse rispetto alle finalità che ci si era proposti.

Come a Genova, servono buoni uomini, questo è certo. Ma servono anche buone leggi. Uomini anche capaci non sarebbero in grado di smuovere alcunché nelle circostanze attuali. I buoni uomini devono essere equipaggiati con norme adeguate a consentirne il movimento, norme che consentano di frantumare la tendenza italica all’immobilismo. Senza indulgere alla deregolamentazione selvaggia, occorre immaginare un sistema di norme molto più snello di quello attuale, che consenta di attuare in tempi rapidi le decisioni di spesa, evitando al contempo la valanga di ricorsi che spesso paralizza l’azione della pubblica amministrazione. Questa dovrà essere la priorità, per il Governo e per il Parlamento, nell’avviare la ricostruzione, visto che un ammontare adeguato di risorse sarà infine disponibile. 

E vengo alla seconda questione. Com’è noto, il Commissario Europeo Paolo Gentiloni ha appena rivelato che un ambizioso programma di sostegno del reddito sarà con tutta probabilità finanziato dall’Unione, lasciando peraltro intravedere la possibilità che i Paesi del Nord Europa allentino, infine, la resistenza ad un intervento coordinato di più ampio respiro per soccorrere i sistemi economici al collasso. Risorse che dovrebbero aggiungersi a quelle che il governo italiano ha messo a disposizione, accrescendo la propria esposizione debitoria. 

È assolutamente indispensabile che queste risorse siano prioritariamente utilizzate per tutelare il nostro sistema produttivo; per garantire lavoratori e imprese. Occorre indirizzare tutti gli sforzi per difendere ciò che provvede alla base materiale del nostro benessere. Pezzi del nostro sistema produttivo corrono il rischio di andare alla malora o di essere facile preda di chi gira per il mondo e magari acquista solo per smontare e rivendere. Un pericolo davvero reale nell’attuale situazione. Questo non può essere consentito. Così come non può essere consentita la fanfara di chi vaneggia di trasferimenti monetari elargiti a tutti con un click e senza condizioni, come se le monete d’oro davvero gemmassero sugli alberi del campo dei miracoli, e Mangiafuoco (la Germania, ma non solo) non scrutasse l’adeguatezza dei nostri comportamenti. 

Genova, dunque, come modello. Ascoltando l’irraggiungibile Paolo Conte, che però ci avverte: «Con quella faccia un pò così, quell’ espressione un pò così, che abbiamo noi prima d’andare a Genova, e ogni volta ci chiediamo, se quel posto dove andiamo, non ci inghiotte, e non torniamo più».
 
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