Coronavirus, poveri e liquidità alle imprese: un tesoretto per la Campania

Coronavirus, poveri e liquidità alle imprese: un tesoretto per la Campania
di Nando Santonastaso
Giovedì 2 Aprile 2020, 23:23 - Ultimo agg. 3 Aprile, 15:34
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Fare presto e bene per aiutare poveri, lavoratori che non percepiscono alcun sussidio o ammortizzatore sociale, famiglie con disabili, ma anche colf e badanti e pensionati al minimo che per ora sono esclusi dai 600 euro stanziati dal governo. E al tempo stesso garantire la liquidità necessaria a decine di migliaia di micro e piccole aziende artigiane, commerciali e industriali che rischiano il fallimento dopo il blocco di tutte le attività produttive “non essenziali”. Si muove su questi grandi asset (ma senza escludere alcun settore, a partire dalle filiere agricole, dalle attività turistico-alberghiere e agli operatori culturali) il piano straordinario per l’emergenza da Covid-19 che il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca presenterà domani e sul quale tutti gli assessorati stanno lavorando incessantemente anche in queste ore. Numerose le proposte presentate da enti, associazioni di categoria e no-profit, partiti, imprese, sindacati; non pochi i nodi da sciogliere, soprattutto in ordine alla copertura finanziaria delle misure previste. Molto, sotto questo profilo, dipenderà dalle decisioni del governo, ad esempio, per la rimodulazione di fondi strutturali e nazionali non ancora impegnati per il 2020 dopo la maxi-flessibilità assicurata dall’Ue. Di sicuro, si fa capire, la Campania vuole mettere in campo subito proposte concrete che, com’è già avvenuto per la gestione dell’emergenza sanitaria, potrebbero rivelarsi anticipatrici di quelle di Palazzo Chigi. 
 

 

È di gran lunga la priorità assoluta dell’iniziativa di De Luca. Nessuno dovrà essere lasciato indietro e in quel “nessuno” si nasconde un esercito quasi sconfinato di poveri (circa il 9% della popolazione campana secondo le ultime statistiche dell’Istat, il 25% delle famiglie indigenti del Sud), lavoratori in nero (il peso del sommerso in Campania è il 20% del valore aggiunto complessivo, pari a circa 370mila persone) e i tanti, come loro, privi di qualsiasi sostegno: non percettori cioè né di Reddito di cittadinanza, né di cassa integrazione né di altri sussidi pubblici. E ancora, famiglie con disabilità, colf, badanti (nella stragrande maggioranza non italiani), pensionati al minimo. Impossibile stabilire con esattezza quanti, nemmeno incrociando i dati Inps e quelli di altre banche dati pubbliche si potrà forse mai risalire al numero più vicino al vero. La Regione si affiderà ovviamente ai Piani di zona, gestiti dai Comuni, per avere un quadro credibile della situazione da affrontare e potrebbe concordare con gli stessi enti locali la gestione degli interventi: un orientamento del genere potrebbe essere confermato dal decreto del governo secondo quanto anticipato nei giorni scorsi al Mattino dal sottosegretario Baretta. Anche per questo non è per ora chiaro da dove verranno le risorse e di quanto si potrà spendere.
 

Il nodo da sciogliere è come impedire che quasi un quarto delle imprese campane ammaini la bandiera e rinunci a proseguire l’attività. Sarebbero 120mila, secondo una fonte sindacale, a rischio soprattutto nei settori del tessile, dell’abbigliamento, del turismo alberghiero, del manifatturiero metalmeccanico, della pelletteria (e non solo). La proposta più probabile è un rafforzamento del Fondo regionale di garanzia che oggi copre l’80% del rischio e che, secondo l’obiettivo indicato dal governo, dovrebbe raggiungere il 100 per 100, garantendo prestiti di durata decennale alle imprese anche di piccolissime dimensioni. La Regione, con la disponibilità ad esempio delle Camere di Commercio (e anche di enti come le Fondazioni bancarie, a partire da quella del Banco di Napoli che ha formalizzato la propria proposta in tal senso) si impegnerebbe a coprire la differenza, quel 20% cioè, che vuol dire in sostanza assicurare il pagamento degli interessi al sistema bancario che eroga materialmente i mutui. 

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