Coronavirus, i veri ritardi e i pulpiti fuori luogo

di Vittorio Del Tufo
Mercoledì 21 Ottobre 2020, 00:03 - Ultimo agg. 07:00
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Viviamo tempi duri. Si sta come d’autunno sugli alberi i grilli parlanti, i sapientoni, i cacasentenze. Siamo circondati da schiere di saccenti e di sotuttoìo, vomitatori seriali di giudizi lapidari, dispensatori di granitiche certezze. La confusione è grande sotto un cielo plumbeo, le ordinanze regionali e i dippicciemme, i divieti di De Luca e quelli di Conte, il mezzo coprifuoco e il semi-lockdown, il cibo a distanza e la scuola da asporto.

E poi il De Luca furente in tivù, la festa di Halloween, la festa di allauen, la festa di Aulin. Come un esercito incerottato e fragile andiamo incontro al disastro: abbiamo avuto sette mesi di tempo per organizzare tutto, li abbiamo buttati via organizzando poco e niente.

Dunque, De Magistris ha ragione. Ha ragione il sindaco - che continua ad attaccare De Luca, l’ultima volta ieri, in concomitanza con il coprifuoco dalle 23 alle 5 disposto dalla Regione - quando dice che il virus è fuori controllo, che ci sono stati errori anche gravi da parte di chi governa la sanità regionale, che la medicina territoriale è stata smantellata anche prima della pandemia, che i tamponi vengono fatti con intollerabile ritardo, che è una tristezza chiudere le scuole appena aperte, che non bisogna prendersela con i cittadini che hanno avuto in larga parte un atteggiamento responsabile. De Magistris ha ragione e anche se avesse torto ha tutto il diritto di dire quello che pensa, e se qualcuno volesse impedirglielo dovrà passare sul nostro cadavere. Ma c’è un però, ed è un però che risuona, come una fastidiosa eco, nelle orecchie di tutti i napoletani.

Questo però è il pulpito dal quale risuona la predica. La presunzione di poter prendere le distanze dal disastro, di tirarsene fuori. Di salire in cattedra, dopo aver lavorato alacremente, in tutti questi anni, per fare di Napoli una città senza regole, a cominciare dalla movida. È singolare che il sindaco di Napoli - che non ha alcun modello di efficienza da proporre, basti citare a titolo di esempio la chiusura sistematica delle scuole a ogni rischio acquazzone - abbia deciso in questi giorni di ritagliarsi addosso, saltellando da una televisione all’altra, l’abito del fustigatore, dello sparasentenze e del castigamatti.

Lo stato comatoso dei mezzi pubblici, che costringe i cittadini a stare ammassati come sardine, moltiplicando in modo esponenziale il rischio contagio, dovrebbe consigliare al sindaco una maggiore prudenza nell’addossare agli altri - la colpa è sempre e soltanto degli altri - le responsabilità del disastro. I cittadini non hanno l’anello al naso, non sono sudditi sciocchi, sono pienamente consapevoli della Waterloo in cui sono immersi: lo sono soprattutto quando prendono i bus, il metrò, le funicolari, che rischiano di diventare il principale veicolo di diffusione del contagio.

Le débâcle quotidiane dei servizi pubblici aggravano enormemente i sacrifici dei napoletani costretti a combattere contro un nemico invisibile. E continuare a usare le istituzioni come un ring, anche in questo periodo, soprattutto in questo periodo, non è un buon modo per rendere onore al proprio incarico.

In questa maledetta storia del Covid, che ruba le nostre vite e le nostre attività economiche, e ci costringe a vivere una vita dimezzata, trasformando il nostro tempo in un tempo sospeso, ciascuno avrebbe dovuto, deve e dovrà fare la sua parte. Ciascuno entro il perimetro delle sue responsabilità, naturalmente. I ritardi accumulati dalla Regione sono sotto gli occhi di tutti, e sette mesi dopo il lockdown di marzo manca praticamente tutto, dai medici ai posti in terapia intensiva, dai prof ai banchi. Dunque è legittimo chiedersi: cosa è stato fatto in tutto questo tempo? Perché siamo arrivati così impreparati all’appuntamento di ottobre? 

Ciascuno di noi è chiamato a dare il proprio contributo. I cittadini con un comportamento virtuoso (mascherine, distanziamento, igiene delle mani eccetera), le istituzioni facendo fino in fondo il proprio dovere. E il sindaco, che non è un ologramma, lavorando per la città, meglio se in silenzio. Magari garantendo la sicurezza delle scuole, per la parte di sua competenza. O controllando più efficacemente le strade e le piazze della città dopo anni di scellerato laissez faire, che tradotto in demagistricese significa fate un po’ tutti come vi pare, perche chist’è ‘o paese d’’o sole. 

Insomma, va bene tutto, vanno benissimo i rilievi, le critiche, le contestazioni, ma il pulpito e i teatrini dell’arroganza proprio no. Questo è il tempo del rigore e della prudenza, anche dei mini-lockdown se necessario; il resto sono chiacchiere e distintivo. De Luca faccia qualche volta mea culpa, se ne è capace, e il sindaco di Napoli, per il tempo che lo separa dalla fine del mandato, provi a onorare i suoi impegni, facendo in modo - nei limiti delle sue possibilità e con i combattenti e reduci che ancora sono al suo fianco - che Napoli torni a essere una città normale, con il Covid e senza Covid. Ma per favore, basta teatrini.

Perché il tempo di scassare tutto è finito, adesso è arrivato il momento di rimettere insieme i cocci, soprattutto quando si è contribuito in modo così pervicace a sfasciare tutto ciò che era umanamente sfasciabile. 

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