Coronavirus, le unità di terapia intensiva sotto stress per molti mesi

Coronavirus, le unità di terapia intensiva sotto stress per molti mesi
di Maria Pirro
Mercoledì 1 Aprile 2020, 21:59 - Ultimo agg. 2 Aprile, 11:27
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Le strade sono vuote, gli ospedali pieni. Con l’epidemia di Covid-19, un ammalato su dieci in media necessita di un trattamento in terapia intensiva. E, con l’accelerazione dei contagi, serve un piano per garantire a tutti l’assistenza: 7298 posti è il fabbisogno dei prossimi mesi calcolato da «Scienza in rete», che ha applicato dei modelli di simulazione ai dati nazionali del sistema di sorveglianza della Protezione civile. In base a questi scenari «Il Mattino» ha calcolato il dato per la Campania: 518 letti complessivi da prevedere, la valutazione degli esperti.

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Sono due gli scenari ipotizzati online dal gruppo di ricercatori: uno più favorevole, l’altro meno. In entrambe le situazioni l’andamento dell’epidemia nel corso del primo mese segue quello osservato in Italia fino al 23 marzo. Poi, a distanza di due settimane, le misure di contenimento implementate iniziano a fare il loro effetto. Si ha così una riduzione dei nuovi contagi, fissata a 0,60 e a 0,90. Al variare delle previsioni si può calcolare una «soglia di sicurezza» per i successivi tre mesi.

Cosa significa? Sono 5.000 i posti di terapia intensiva in Italia censiti prima dell’emergenza: se si considera un tasso di occupazione medio del 50 per cento, ne restano 2.500. Nel caso più ottimistico, il fabbisogno di ricoveri e ventilatori in rianimazione aumenta per altri 9 giorni dopo il picco che arriva ad essere 2,5 volte maggiore del valore limite. Per rientrare nell’ordinario, bisogna aspettare un altro mese.
 

 

La proiezione peggiore di “Scienza in rete” prevede una richiesta massima 21 giorni dopo l’introduzione delle regolamentazioni, tre volte i posti di terapia intensiva oltre la soglia di sicurezza e tre mesi per ritornare alla normalità. Una indicazione, è precisato nell’indagine, in linea con gli studi condotti in Gran Bretagna (in particolare, dall’Imperial college di Londra) e negli Stati Uniti, che avvisano: la domanda di posti letto potrebbe restare elevata nei prossimi mesi, anche se gli interventi di mitigazione proposti dal governo dovessero rivelarsi estremamente efficaci. Inoltre, allentando le restrizioni, il Paese sarebbe di nuovo vulnerabile: una posizione in linea con le preoccupazioni espresse ieri dal governatore Vincenzo De Luca che ha rivolto un appello al premier e ai concittadini: «Sarebbe un delitto vanificare i sacrifici fatti in queste settimane abbandonandosi ora a comportamenti irresponsabili», il monito. «Il metodo adoperato nello schema sul piano per le terapie intensive è ottimo. Ci sono, tuttavia, troppe incognite nei dati della Protezione civile che non permettono di verificare esattamente l’incidenza reale della malattia. Una di queste è il numero di pazienti asintomatici», spiega Claudio Quintano, professore di statistica ed ex rettore della Parthenope, che caldeggia «una verifica su un campione più ampio della popolazione, come fatto a Vo’, monitorando anche l’evoluzione clinica».
 

Non bastasse, ogni Regione fa da sé. Tra Nord e Sud, Lombardia e Campania, è decisamente diverso l’andamento dell’epidemia. «C’è una enorme differenza di attrezzature, e anche il rischio di tenuta del sistema sanitario qui al momento è più contenuto», ragiona Edoardo Cosenza, docente universitario della Federico II a Ingegneria, che sta analizzando i report ed è, tra l’altro, ex assessore campano alla Protezione civile. Per tentare un’analisi, si parte dalla conta dei 355 posti letto in rianimazione disponibili in Campania prima dell’epidemia. Nel caso peggiore ipotizzato, il fabbisogno sarebbe tre volte superiore alla «soglia di sicurezza». «Per raggiungere i 518 posti letto complessivi in terapia intensiva, il 45 per cento in più, in linea con lo schema nazionale», spiega Quintano. Chiara l’urgenza di provvedere alla programmazione sul medio periodo, come detto apertamente dallo stesso de Luca, annunciando la realizzazione di tre ospedali da campo e la pianificazione della logistica (innanzitutto tra Napoli Caserta e Salerno), il reclutamento del personale, chiamando specializzandi e neolaureati, medici e infermieri in pensione, ma anche bloccando già da settimane ambulatori e ricoveri in ospedale e siglando un accordo per utilizzare anche i tremila posti delle cliniche private. 

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Dice Enrico Coscioni, cardiochirurgo e braccio testo di De Luca: «Ci sono al momento 160 posti Covid-19 in rianimazione, di cui 30 liberi.
E altri 500 di degenza, di cui 50 disponibili. Ma c’è un rapido incremento delle nuove diagnosi, per cui potrebbe essere indispensabile anche ad horas riconvertire altri reparti». Un timore in questa rivoluzione degli spazi è la promiscuità dei percorsi per pazienti e medici, con il pericolo di contagi ulteriori, creando focolai negli stessi ospedali, è segnalato ad esempio al Cto quanto ai Pellegrini da operatori e sindacalisti. Tornando al piano, entro il 15 aprile la Regione punta comunque ad avere 280 posti dedicati in rianimazione (di cui 120 riconvertiti e 170 creati ex novo) e 800 di degenza. «Bastano anche per affrontare lo scenario più catastrofico», assicura Coscioni. Salvo imprevisti, ovviamente. Ma, per garantire un’assistenza adeguata, «è fondamentale potenziare anche le cure domiciliari con i medici di famiglia», aggiunge Pina Tommasielli, a nome della categoria e componente dell’unità di crisi. Questioni da non sottovalutare. «Nelle previsioni non si considera una eventuale seconda ondata di infezioni e una mutazione del virus già nella prossima stagione», conclude Quintano. 

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