Il calcio smetta di vivere sulla luna

di Francesco De Luca
Mercoledì 30 Settembre 2020, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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Nel giorno in cui è risultato positivo al Coronavirus il 38enne Ibrahimovic ha scritto questo post: «Hai avuto il coraggio di sfidarmi. Pessima idea». Anche il sistema calcistico italiano in queste settimane si è comportato come il grande Ibra pensando che il Covid-19 fosse un avversario battibile, o comunque arginabile. La clamorosa vicenda del Genoa, sulla quale vi è stato un intervento della Procura federale che ha accertato il corretto comportamento del club, evidenzia che i sistemi stabiliti per iniziare questo campionato siano stati inferiori alla potenza dell’epidemia.

Si doveva prestare più attenzione rispetto alla scorsa estate, quando venne ripreso il campionato, perché è salita la curva dei contagi. Invece, cosa ha fatto il calcio? Ha chiesto, e ottenuto, di ridurre il numero dei tamponi, scendendo a uno, da effettuare a 48 ore dalla partita per ridurre i costi a carico delle società. Ha chiesto, e stavolta non ottenuto, di riaprire parzialmente gli stadi, per il 25 per cento della capienza secondo la proposta della conferenza delle Regioni respinta dal Cts. Quando è stato dato il via libera per mille spettatori negli eventi all’aperto, non in tutti gli stadi sono state rispettate le regole anti-Covid, al punto che la Cremonese, dopo aver visto molti spettatori senza mascherina sugli spalti, ha deciso di chiudere nuovamente il suo stadio. Sono sbagliate e rischiose queste fughe in avanti.

Si dice: il boom di contagi nel Genoa - ultimo avversario in campionato del Napoli, legittimamente preoccupato - non si poteva prevedere. I 12 nuovi positivi al tampone di lunedì erano risultati negativi 48 ore prima. Ma in questi mesi abbiamo capito quanto infido sia il Coronavirus e il calcio non può pensare di combatterlo con protocolli che si sono rivelati quanto meno incompleti. Questo mondo, per questioni economiche, è apparso spesso distaccato dalla vita reale. Però non può farlo adesso, in un’altra fase delicatissima per la salute del Paese. Il 12 giugno, quando la stagione calcistica è ripresa con la partita di Coppa Italia Juventus-Milan, il dato dei contagiati del giorno in Italia era 163. Due giorni fa, quando il Genoa ha comunicato di avere complessivamente 14 positivi, il numero era 1494, quasi dieci volte in più: non si possono adottare contromisure blande.

I 14 contagiati del Genoa - e ci si augura che negativi siano i responsi per i rossoblù come quelli del primo di tre tamponi effettuati ieri dal Napoli - sono stati un durissimo richiamo a una realtà che molte società hanno finto di ignorare, respingendo subito una valida proposta del presidente della Figc, Gravina, quella di istituire i playoff per ridurre i tempi della stagione. L’Uefa ha fatto forti sollecitazioni nella scorsa primavera affinché i campionati ripartissero trovando una quasi generale disponibilità, però nella prossima settimana si troverà quasi certamente ad affrontare il caso di numerosi club che non forniranno calciatori alle nazionali per la Nations League perché temono i contagi. È una presa di posizione che De Laurentiis, finalmente dichiarato guarito a tre settimane dalla positività al test Covid-19, aveva minacciato già a fine agosto.

I presidenti di serie A mettono gli interessi economici al di sopra di tutto, avendo subito un danno da 500 milioni, come ha ricordato due giorni fa l’ad della Lega, De Siervo, poche ore prima che esplodesse la “bomba Genoa”. Ma se si deve andare avanti a tutti i costi anche in presenza di un alto numero di contagiati - e ancora non si è capito bene a quale soglia occorra arrivare per poter chiedere il rinvio: l’unica Lega che dà questa facoltà è quella di Serie C se ci sono 4 casi - è opportuno che le società invitino i calciatori a prestare la massima attenzione nella vita quotidiana. Si ipotizzò, e non si fece, un ritiro di due mesi e mezzo per chiudere la stagione 2019-2020 e sarebbe impraticabile da qui a maggio 2021. La Nba ha deciso di mettere le squadre in una “bolla” a Orlando mentre il campionato di calcio cinese è ripreso in due città e con maxi-ritiri: scenario non ipotizzabile in Italia.

E allora, occorre un rigore assoluto, anche perché è difficile immaginare di non fare allenare i giocatori per un giorno, fino all’esito dei tamponi (se positivi, potrebbero contagiare i compagni, i tecnici e i medici, come è probabilmente accaduto nel caso di Perin a Genova), adesso che la stagione sta per entrare nella fase più intensa con l’inizio delle competizioni europee. Tenere gli stadi chiusi eviterà eventuali catastrofi come quella di Atalanta-Valencia dello scorso febbraio ma non metterà al riparo i calciatori, se non vi sarà la massima attenzione, quella che sollecita il viceministro della Salute, Sileri, dopo aver ipotizzato lo stop del campionato per sette giorni se vi fossero positivi a Napoli mentre si è aperto un nuovo dibattito tra i virologi, i primi ad aver diritto di parola.

 
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