Effetto Covid sui redditi, Mezzogiorno più povero

Effetto Covid sui redditi, Mezzogiorno più povero
di Nando Santonastaso
Domenica 28 Febbraio 2021, 00:00 - Ultimo agg. 17:50
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Che la povertà non era stata sconfitta lo si era capito anche all’indomani dell’annuncio del Movimento 5 Stelle. Che sia cresciuta a causa della pandemia è ormai altrettanto chiaro: l’aumento viene calcolato da molti osservatori intorno al 40%, con un’incidenza della povertà assoluta salita ben oltre il 7,7% sul totale della popolazione, come aveva certificato l’Istat a proposito del 2019. Era anche prevedibile che nel Mezzogiorno l’impatto sarebbe stato più forte, considerato che qui si concentrano la maggior parte delle famiglie in difficoltà e i più numerosi beneficiari del Reddito di cittadinanza, in particolare tra Campania e Sicilia. Ma forse non si poteva prevedere che sui 400 milioni di euro erogati ai Comuni nel 2020 per aiuti alimentari (tra buoni spesa e forniture attraverso enti caritatevoli, Caritas in testa), si raggiungessero picchi di richieste del 70% al Sud. Il dato emerge dall’ultima edizione dell’Annuario dell’agricoltura italiana del Crea, il Centro di ricerche nazionale agroalimentare vigilato dal ministero per le Politiche agricole. Ancor più impressionante è l’aggiornamento della Caritas che parla dell’incremento del 105% del numero di nuove persone assistite, con un picco del 153% nel Mezzogiorno. 

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Fa riflettere il fatto che tra i nuovi poveri che hanno fatto ricorso all’Associazione ci siano anche lavoratori in attesa della Cassa integrazione, precari che non godevano di ammortizzatori sociali, e persino studenti, lavoratori dipendenti e autonomi non toccati dai lockdown, persone cioè che non si sono fermate a causa della pandemia.

Per lo più sono state le donne ad avere fatto i conti con questa emergenza: parliamo del 54,4% del totale di quanti per la prima vota nel 2020 hanno dovuto fare ricorso ai servizi degli enti che assistono i più deboli. E in quella percentuale i casi di chi ha anche perso il lavoro sono la maggioranza. Altissimo anche il prezzo in termini di povertà educativa, uno dei mali forse meno visibili ma tremendamente più preoccupanti del Mezzogiorno, specie tra i giovani: il 72% del campione intervistato nello scorso novembre dall’istituto Demopolis per l’impresa sociale ”Con i bambini” indicava un aumento del 72% delle disuguaglianze tra i minori, con fenomeni di preoccupante marginalizzazione al Sud dipendenti anche dalla scarsa diffusione di sussidi didattici elettronici.

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«Se prima dell’emergenza Covid-19 il tasso di povertà relativa in Italia era del 21,15, questo valore oggi è passato al 28,85 a maggio 2020 per poi attestarsi al 24,45 a settembre» spiegano Conchita D’Ambrosio e Giorgia Menta in uno studio pubblicato dal sito Lavoce.info e finalizzato a capire in che modo la pandemia abbia influito sui redditi e sulla povertà degli italiani. Dai numeri arriva, puntuale, la conferma che Sud e isole continuano a detenere il triste primato della maggiore quota di poveri del Paese, primato nemmeno scalfito dall’aumento della proporzioni di individui finita al di sotto della soglia di povertà, che nel solo Nord est è stato del 7,7%. Ma a parte i numeri è la cartina a colori dell’Italia in base all’indice di povertà, che correda opportunamente lo studio, a dare il senso della situazione. Il rosso che colora tutto il Mezzogiorno e le isole richiama quello al quale ormai siamo abituati da mesi a proposito dell’applicazione delle misure restrittive per contrastare la pandemia. Anche “questo” rosso è il simbolo di una emergenza di vecchia data ma che si radicalizza. Dietro quel colore si leggono infatti, con efficace interattività, il 40% (a maggio) del totale della povertà nazionale e il 35% a settembre. Per intenderci, il doppio del Nord Est e un terzo in più del Centro dove, informano le due studiose, si è verificato il maggiore aumento di individui a rischio di povertà, almeno durante il primo lockdown.

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Ma c’è un altro elemento su cui soffermarsi. La pandemia ha influito negativamente anche sui redditi. Le disuguaglianze sono cresciute nella prima parte del 2020 anche dell’1,2% per poi diminuire un po’ dopo la mini-ripresa di settembre: il guaio è che questo tipo di andamento, comune anche ad altri Stati europei come Spagna e Svezia, non è stato lo stesso in Francia e Germania dove l’impatto del virus non ha creato analoghi squilibri in base alla ricchezza prodotta. I valori di disuguaglianza di questi ultimi Stati, infatti sono rimasti pressoché stabili rispetto ai mesi precedenti la pandemia. Cosa vuol dire? Che «decisioni di confinamento più rigide, come la chiusura di scuole e posti di lavoro (spesso però inevitabili, ndr) comportano una riduzione dei redditi familiari. Una volta presa in considerazione l’intensità delle misure di lockdown, invece, i redditi degli italiani sembrano insensibili al numero di casi da Covid-19, attivi sul territorio nazionale, o al tasso di infezione e di letalità del virus». 
 

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