Un anno dal lockdown, lo smarrimento che diventa speranza

di Carlo Nordio
Domenica 7 Marzo 2021, 00:00 - Ultimo agg. 08:02
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Se è vero che, come insegnano i saggi, il giudizio sulla vita di un uomo dev’essere espresso solo al momento della sua fine, potrebbe sembrare prematuro tirare le somme sulle conseguenze del Covid. 

Quando la pandemia minaccia addirittura un micidiale colpo di coda. La campagna vaccinale sembra mostrarci la luce in fondo al tunnel. Per ora siamo alla fine dell’inizio: ma l’autorità di Draghi e le personalità da lui chiamate a operare sul campo sono tali da prospettarci l’inizio della fine. Possiamo quindi già trarre alcune considerazioni provvisorie. Lo faremo senza cedere alla rapsodia oracolare dei luoghi comuni, primo fra tutti quello di trasformare la disgrazia in opportunità. La Seconda guerra mondiale portò, tra le altre cose, la penicillina e il cervello elettronico, ma sinceramente ne avremmo fatto volentieri a meno. “Le bon usage des maladies”è solo l’illusoria consolazione di chi avrebbe preferito restare sano.

Come in guerra, dunque, anche l’epidemia si è articolata in varie fasi, alle quali è corrisposto un diverso atteggiamento collettivo.

La prima potremmo chiamarla di stupore sgomento. Eravamo abituati a convivere con malattie terribili ma limitate, e con epidemie diffuse, ma poco pericolose. Il Covid invece è stato insieme esteso e mortale, e questo binomio ha generato una paura del contagio pari alla sorpresa di non saperlo affrontare. Decenni di apologie sulle “magnifiche sorti e progressive” della medicina sembravano dissolversi davanti all’impotenza nel comprenderlo e nel combatterlo. Non solo. Stavamo discutendo sulla legittimità di trattenere qualche decina di migranti dentro una nave, e improvvisamente il governo ha consegnato sessanta milioni di italiani agli arresti domiciliari, con la possibilità di uscire bardati come palombari e in prossimità dell’abitazione. Le conseguenze psicologiche e sociali sono state molteplici. Qualcuno ha riscoperto - si dice - i piaceri della casa, l’intimità della famiglia, lo svago della letteratura, persino la consolazione della filosofia. Ma qualche altro è sclerato per ossessione claustrofobica o semplicemente coniugale, convertendo la frustrazione in ansia e quest’ultima in aggressività. Sono crollati i furti in abitazione, ma sono aumentate le violenze domestiche. L’economia si è quasi fermata. Pochi privilegiati hanno aumentato la clientela, molti l’hanno diminuita, i più l’hanno perduta. I ristori sono stati esigui, tardivi, e talvolta inesistenti. In questo dramma improvviso si è inserito il martellante sentenziare di virologi, epidemiologi, clinici, statistici, e ovviamente politici dove tutti hanno detto di tutto senza convincere nessuno. Ma il Paese ha tenuto.

L’avvento dell’estate, l’effetto della segregazione, e l’indotta prudenza dei cittadini hanno ridato vitalità a tutti noi, anche se alcuni hanno confuso la tregua con una vittoria definitiva. In effetti i contagi si erano ridotti, i ricoveri e i decessi quasi azzerati. I virologi avvertivano che il Covid era ancora attivo, molti internisti rispondevano che clinicamente era sparito. Come insegnava Hegel, le dispute insolubili non nascono quando una parte ha ragione e l’altra torto, ma quando hanno ragione tutte e due.

Ovvio che il virus non fosse morto; altrettanto ovvio che se gli ospedali si svuotano significa che in quel momento la sua aggressività è contenuta. Sarebbe stato compito della politica fare una sintesi di queste due interpretazioni: e invece il governo è stato mancante. Ha oscillato in modo quasi schizofrenico tra una permissività sprovveduta e una severità occasionale, adeguando i sui provvedimenti alla nuova ondata sempre in modo insufficiente e tardivo. Si è baloccato con i monopattini e i banchi a rotelle, senza considerare, ad esempio, che la riapertura delle scuole avrebbe costituito un’enorme fonte di contagio non tanto nelle aule, dove qualche controllo esiste, ma fuori e nei trasporti, dove la naturale indocilità dei ragazzi e l’assenza di una vigilanza avrebbero vanificato le precauzioni adottate all’interno degli edifici. Ha rinunziato al tracciamento degli infetti e al controllo delle frontiere, ha lesinato sui tamponi e pasticciato sulle mascherine. Una razionale programmazione della chiusura degli esercizi è stata surrogata da una verbosa presenza di Conte, che suscitava l’impressione di non saper dove andare, ma di andarci convinto. Il consenso dei cittadini ha cominciato a vacillare.

La terza fase è stata la peggiore. Gli aumenti dei contagi, dei ricoveri e delle vittime hanno minato una fiducia già compromessa e un’economia appena convalescente. Gli aiuti promessi dall’Europa hanno salvato sui mercati le finanze pubbliche, senza peraltro soccorrere quelle private. Ma l’inefficienza del governo, unitamente alla litigiosità dei suoi componenti, hanno provocato una crisi che avrebbe potuto portare al disastro economico, e forse a disordini popolari. La tensione è stata esasperata dal ridotto arrivo dei vaccini, dovuto all’insipienza della Commissione Europea e ai calcoli delle aziende produttrici. Le “primule” della distribuzione, germogliate dalla fantasia di Arcuri, sono state il fiore mai sbocciato di una gestione complessivamente inadeguata. 

L’intervento di Mattarella, e la scelta di Draghi hanno inaugurato l’attuale quarta fase. Il Presidente della Repubblica ha abbandonato la sua omiletica soavità vescovile per dire chiaro e tondo, senza l’aggressività di Clemenceau ma con la chiarezza di Churchill, che bisognava cambiare registro. Ha richiamato i partiti all’ordine e ha chiamato al governo Draghi. Questi ultimi giorni di silenzio operoso e di sostituzioni rapide fino alla brutalità hanno dimostrato che la distribuzione dei ministeri tra i vari partiti è solo l’omaggio formale che la forza del premier concede ai riti della politica. Tutti hanno capito che, almeno per ora, Draghi ha saldamente accentrato nelle sue mani la gestione delle due emergenze più urgenti, il Covid e l’economia.

È un buon risultato. La trilogia Gabrielli-Curcio-Figliuolo è una garanzia di intelligenza, coraggio e capacità operativa. Contemporaneamente l’Europa ha aumentato l’acquisto di vaccini, e le case produttrici hanno rinnovato gli impegni. Se così fosse, Draghi avrebbe anche un po’ di fortuna. La quale, come tutti sanno, aiuta non solo gli audaci, ma soprattutto le menti preparate.  

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