Covid a Napoli, i poveri aumentano dell’80%; negozianti e ristoratori: «Noi strozzati dall’usura»

Covid a Napoli, i poveri aumentano dell’80%; negozianti e ristoratori: «Noi strozzati dall’usura»
di Antonio Menna
Giovedì 1 Aprile 2021, 23:30 - Ultimo agg. 2 Aprile, 18:36
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Commercianti, soprattutto ristoratori, lavoratori autonomi, artigiani, perfino qualche libero professionista. Gente che non è abituata alla indigenza estrema e bussa - stordita, disorientata, spesso in preda alla depressione - per la prima volta alla Caritas, in cerca di aiuto. Sono i nuovi poveri al tempo del Covid. L’80% in più di richieste di aiuto negli ultimi dodici mesi presso i Centri di ascolto sul territorio della Campania. Oltre 14mila famiglie hanno allungato la mano. Sono i primi numeri del nuovo Dossier regionale sulle povertà elaborato dalla Caritas. Uscirà alla fine di maggio ma i dati stanno già arrivando dai 200 Centri di ascolto disseminati nelle 25 diocesi campane e gli esperti dell’organizzazione sono al lavoro per aggregarli ed elaborarli.

«Cambia completamente il profilo dell’indigenza - dice Ciro Grassini, responsabile dell’Osservatorio regionale Caritas sulla povertà - anche per questo il nostro rapporto, che generalmente è annuale, questa volta mette insieme gli ultimi due anni. Abbiamo avuto netta la percezione che l’anno scorso la pandemia stava trasformando anche il disagio e così ci siamo fermati per capire meglio. I fatti, strada facendo, hanno confermato il nostro timore. La povertà è cambiata». 

È cambiata proprio nel momento in cui qualcosa di buono si stava muovendo. Nell’ultimo rapporto, infatti, quello del 2019, era stato registrato un decremento degli accessi ai Centri di ascolti e agli empori solidali. «Merito del reddito di cittadinanza - dice Grassini - che sulla platea di poveri storici, direi cronici, è riuscito, con tutti i suoi limiti, a dare un po’ di respiro.

Ma poi la pandemia ha cambiato di nuovo tutto». Sono emerse, così, le nuove povertà. Non più quel disagio storico, spesso tramandato di padre in figlio, innervato su problemi strutturali, spesso dipendenze da droga e alcol, disagio psichico, scarsa alfabetizzazione, problemi con la giustizia, marginalità. Ma una indigenza improvvisa, che esplode nelle famiglie come una bomba: inattesa, scioccante.

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«Ci siamo trovati di fronte - continua Grassini - persone che non erano abituate alla povertà. Il disagiato storico, in qualche modo, ha imparato a chiedere, ha una sua padronanza con l’indigenza. I nuovi poveri sono travolti. Abbiamo avuto richieste da lavoratori in nero che hanno perso tutto, da commercianti in crisi, da ristoratori in enorme difficoltà. Spesso famiglie intere, perché questi settori economici coinvolgono parenti, che sono stati accomunati dalla povertà improvvisa, senza nemmeno la possibilità di aiutarsi l’un con l’altro». 

A chiedere aiuto sono soprattutto le donne di casa. L’età media è 47 anni, per la maggior parte si tratta di italiani, e spesso sono sposati e con figli. Chiedono beni alimentari, vestiti, a volte anche consigli, una parola di ascolto.

«C’è molta vergogna - dicono dalla Caritas - hanno quasi paura di chiedere. Hanno soprattutto bisogno di ritrovare una speranza». «È difficile che si diventi poveri all’improvviso - aggiunge Grassini - Noi entriamo in genere in contatto col disagio storico, oppure con persone che sono borderline, che hanno una indigenza di fondo e che finiscono in crisi per un contrattempo improvviso. Un guasto all’auto, la perdita di un lavoro precario, una malattia. Invece stavolta ci troviamo di fronte a una utenza che è stata travolta da un giorno all’altro senza aspettarselo, e non hanno alcun ammortizzatore».

Magari hanno anche case di proprietà e l’Isee dell’anno prima non gli dà diritto a nulla. Nella prima ondata della pandemia, i nuovi poveri reggevano ancora: i risparmi, l’idea di una chiusura non lunghissima. Ma sulla seconda ondata sono andati al tappeto. Molte richieste riguardano affitti da pagare, che si sono accumulati, bollette della luce e del telefono in scadenza, rate di mutuo, bollettini di tasse universitarie per i figli. «In qualche caso - dicono dalla Caritas - si sono ritrovati senza telefono e senza poter usare Internet per consentire la Didattica a distanza ai figli. Abbiamo pagato delle bollette mentre queste persone giuravano che ci avrebbero restituito tutto». 

Sul collo dei nuovi poveri soffiano ovviamente gli avvoltoi dell’usura. Sono centinaia le richieste ai Centri di ascolto in questo senso. Persone che hanno bisogno di denaro, che chiedono soldi, tanti soldi per liberarsi dal ricatto usuraio. «Ma noi - dice Grassini - non diamo soldi, diamo servizi: beni, assistenza. In qualche caso paghiamo bollette o rate universitarie, sempre finalizzate alla soluzione di un problema. Ma il tema denaro c’è». Molte persone, nella prima ondata, hanno avuto prestiti informali con il volto cordiale dell’amicizia generosa. Attendevano i ristori, alcuni la cassa integrazione. Pensavano di poter gestire il debito. Ma poi è scattata la trappola: ogni mese un versamento che però ripaga solo l’interesse e non estingue mai la pendenza. La tagliola si stringe sempre di più, e trattandosi di commercianti, lo scopo criminale è chiaro: rilevare le attività ed essere pronti alla ripartenza post pandemia. A chi aveva tutto, così, rimane niente.

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