Covid a Napoli: mercato nero dei tamponi, nel mirino gli uffici del Frullone

Covid a Napoli: mercato nero dei tamponi, nel mirino gli uffici del Frullone
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 28 Dicembre 2020, 00:00 - Ultimo agg. 14:09
5 Minuti di Lettura

Avevano una lista di persone da contattare, pazienti in attesa di ricevere il tampone, persone che si erano messe in fila. Potenziali clienti, in una storia nata nel clima di paura e speranza, dubbi e attese dettate dal Coronavirus. Poi hanno organizzato solidi rapporti con chi, in pochi minuti, è in grado di stabilire se sei dentro o fuori, se il colore del reagente va in un verso o in un altro: insomma, se sei positivo o negativo al Coronavirus. Una banda ben organizzata, composta da figure e ruoli differenti: da quello che si reca porta a porta a fare i tamponi, a quello che organizza l’affaire, per non parlare poi di chi riesce a mettere la propria competenza nel maneggiare i reagenti, vero e proprio carburante nella macchina organizzata per traghettarci fuori dalla crisi. Una banda che va all’incasso in questo modo: tampone a casa, rigorosamente a domicilio, in cambio di cinquanta euro cash. Una frontiera su cui ha deciso di vederci chiaro la Procura di Napoli, che ha deciso di aprire un fascicolo anche sulla scorta dell’inchiesta denuncia pubblicata da Il Mattino nell’edizione di ieri. Al lavoro i militari dell’arma dei carabinieri, che stanno passando al setaccio alcuni nomi, per altro indicati in questi giorni dai vertici dell’Asl Napoli uno, titolari a loro volta di una inchiesta interna.
Uffici del Frullone, siamo in un avamposto strategico per la sanità cittadina, specie nelle settimane calde del rientro dalle ferie estive, quando migliaia di napoletani si sono sottoposti al test del Covid. È qui che si sono mossi, in modo completamente illegale, alcuni infermieri chiamati a prestare le loro performance lavorative al servizio del pubblico. Mele marce, secondo quanto emerso finora. 

Nulla da spartire con gli esempi di professionalità offerti da circa un anno dalla stragrande maggioranza di infermieri e di operatori sanitari, in prima linea contro il Covid. Ed è questo il punto principale su cui batte l’inchiesta condotta dalla Procura di Napoli. Obiettivo è circoscrivere il perimetro delle responsabilità, declinare i nomi di chi ha organizzato questo tipo di mercimonio, ma anche indicare eventuali collaborazioni esterne. Ma proviamo a ragionare sulla scorta di quanto emerso fino a questo momento. Stando alla prima ricostruzione, le cose sono andate avanti in questo modo: siamo a cavallo tra novembre e dicembre, nel pieno della cosiddetta seconda ondata, con la Campania in ginocchio, l’area metropolitana partenopea ridotta a una sorta di polveriera. Ospedali e laboratori intasati, paura di recarsi in una struttura Asl per il tampone. Immediato il passaparola, specie in alcune zone della città. Vomero, Arenella, Chiaiano. Chiaro il refrain: cinquanta euro a tampone, senza alcun rischio.

E a morte di subito, tanto per essere chiari. Niente file, prezzi calmierati, esito dei test in poche ore. Senza il rischio della segnalazione, in caso di riscontro positivo al Coronavirus. Ed è filato liscio per diversi giorni, anche in vista delle festività di Natale, quando in tanti si sono trovati di fronte all’esigenza di fare chiarezza sulle condizioni di salute, per evitare di diffondere il virus nei giorni di festa. 

 


Un caso che è emerso quasi in modo incidentale, quando il parente di una donna ha assistito alla visita degli infermieri. Avevano chiamato l’Asl, avevamo ottenuto una visita - ha spiegato il figlio di una donna anziana -, non ci aspettavamo questo trattamento. A fine visita, abbiamo pagato cinquanta euro, pensavamo che fosse qualcosa di legato al ticket, ma non abbiamo avuto alcun riscontro formale. Niente pezza di appoggio, niente ricevuta. Sono nati i sospetti, che hanno provocato inevitabili segnalazioni. 
Ed è a partire da questo momento, che sono entrati in scena i responsabili della struttura del Frullone, che hanno avviato le proprie verifiche interne. Al lavoro sui turni, sui nomi degli infermieri, sui pazienti visitati, sulle mission a casa, nei domicili in cui sono stati effettuati alcuni tamponi. E non è tutto. Altro punto su cui sono in corso le indagini riguarda la collaborazione di tecnici di laboratorio, di applicati nei centri convenzionati. Secondo quanto emerso finora - ed è un punto su cui sono in corso delle verifiche -, il mercato nero dei tamponi si è alimentato grazie a reagenti e performance professionali pagate dalla Asl. O semplicemente appoggiate alla struttura pubblica.

Video

Come a dire: i costi dei tamponi venivano scaricati sulle spalle dei contribuenti, mentre gli incassi erano tutti rigorosamente in nero. Quanto basta a spingere la Procura a lavorare su livelli differenti. Ipotesi di truffa, falso, finanche di associazione per delinquere, qualora venga fuori un rapporto «strutturato» tra infermieri e specialisti dell’esame clinico. 
E non è tutto. Vanno verificate anche eventuali responsabilità, qualora non siano stati segnalati i casi di contagi di volta in volta riscontrati in questo mondo parallelo del Coronavirus. Un’inchiesta che ora attende testimonianze e riscontri a stretto giro, in uno scenario in cui la Campania sta attrezzando la macchina dei vaccini per debellare la presenza del Covid in tutte le sue forme. 
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA