Dunque il Tar ha deciso. L’ordinanza con cui il presidente della Regione ha chiuso le scuole primarie e medie della Campania fino al 29 di gennaio è stata annullata perché illegittima. Lo schiaffo con il quale De Luca ha sferzato il governo, non più soltanto a parole o con ingiurie, ma con atti dirompenti rispetto al nostro ordinamento, per una parte gli si ritorce contro. Eppure, per un’altra parte, il governatore può dirsi comunque soddisfatto: il suo incasso politico, complice il pasticcio normativo dell’Esecutivo, c’è tutto: lo sceriffo potrà sentire il vento di rivolta di presidi e docenti esasperati, nonché di mamme infuriate, soffiare vigoroso nelle vele del suo vascello. Perché, se per un verso l’imperversare della variante Omicron ha messo a nudo tutta la fragilità del nostro sistema scolastico e l’insufficienza delle misure fino ad oggi adottate, non c’è dubbio che la ciliegina sulla torta è stata offerta dal decreto anti Covid: un capolavoro di casistica bizantina che raggiunge il suo apice quando si arriva appunto a regolamentare la vita della scuola.
Cosa si fa a seconda che in classe ci sia un contagiato, o due o tre?….e cosa se il ragazzo è vaccinato o non è vaccinato?….e cosa a seconda di quanto tempo è trascorso dalla vaccinazione?…e via di questo passo: in un caos di regole inapplicabili buone solo per mandare al manicomio presidi e insegnanti. Che di problemi da gestire ne hanno già troppi.
Per questo le parole accalorate spese dal ministro Bianchi l’altro giorno a Bologna a difesa della scuola in presenza sono suonate alquanto retoriche. Per non dire grottesche. E per questo va dato atto a De Luca della prontezza con cui ha colto in fallo il governo, lanciando la sua ennesima crociata contro la “politica politicante”, rea, questa volta, a suo dire, di voler trasformare i nostri bambini in cavie, e responsabile, perciò, di aver scatenato la sua ira funesta e la sua intemerata sfida finanche all’ordine costituzionale. Resta il dubbio, al netto della contesa e dei reciproci risultati da vantare a proprio merito, o ad altrui demerito, quale sia, in tutto ciò, il vantaggio per il nostro sistema educativo. Temiamo nessuno. Anzi. Del resto se proviamo a raffrontare la situazione odierna della scuola con quella precedente all’esplosione della pandemia, ci rendiamo conto che ben poco è mutato. Se non nulla. In molti casi le cose sono persino peggiorate. Per scarsità di intervento dello Stato centrale, certo.
Ed ora? Ora al disagio di ieri si somma quello di oggi. Alle collaborazione istituzionale per correggere gli errori, si sovrappone la contesa. All’assunzione delle proprie responsabilità, subentra la reciproca delegittimazione. Abdicando così al compito della politica e affidando di fatto l’ultima parola all’autorità della magistratura. Il rischio è che, nella mancanza di dispositivi ispirati ai sacrosanti principi di chiarezza e distinzione (che i nostri governanti farebbero bene a ripassare un po’), e nel montare della contrapposizione tra le parti, la scuola, a cui tutti dicono di tenere tanto, faccia la fine del vaso di coccio schiacciato tra vasi di ferro. E che anche quest’anno scolastico, nell’imperversare del contagio (che certo non si allenterà per fine mese) e nel disorientamento generale degli operatori e delle famiglie, privi di un solido e univoco punto di riferimento nelle istituzioni, finisca in cavalleria, come già avvenuto per quello precedente. Il danno sarebbe incalcolabile per la salute mentale (non meno importante di quella fisica!) dei nostri studenti e per la tenuta dei livelli di istruzione, che stanno scivolando ormai, per un’intera generazione, verso livelli paurosi di semianalfabetismo. Sempre che arginare questa rovina interessi ancora a qualcuno.