La scienza, i vaccini e l'ostacolo dei social

di Maurizio Bifulco e Edoardo Boncinelli
Venerdì 28 Gennaio 2022, 00:00 - Ultimo agg. 06:00
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Il dibattito pubblico sui vaccini anti Covid-19, con tutte le argomentazioni che l’accompagnano, e in particolare la sua obbligatorietà, è più acceso che mai. C’è un aspetto, però, a nostro avviso, centrale in tale dibattito: l’importanza che rivestono i social media nel percorso di ricerca di informazioni relative alle vaccinazioni. È certo, infatti, che i mezzi di comunicazione tramite web rappresentano oggi una fonte di influenza. Spesso decisiva nei processi informativi e decisionali del pubblico sulla salute propria e dei propri cari. 

Occorre innanzitutto sottolineare il problema delle fake news riguardo i vaccini che imperversano sulla rete. Basti pensare alla notizia recente che circola sui social in merito alla presunta dichiarazione del vincitore del Premio Nobel 2018 Tasuku Honjo, secondo cui lo scienziato e immunologo giapponese avrebbe dichiarato che il nuovo coronavirus Sars-CoV-2 «non è naturale» ma «completamente artificiale». Notizia completamente falsa e poi smentita, di cui abbiamo notizia diretta dallo scienziato. Un altro aspetto che emerge, purtroppo, è un’ampia parte del pubblico che si esprime attraverso commenti social in modo neutrale, e che diventa poi influenzabile dai commenti aggressivi e martellanti dei NoVax e che finisce poi con la supremazia di opinioni negative su quelle positive. Per questo motivo spetta a tutti, in primis a noi ricercatori e medici, diffondere comunicazioni pertinenti, chiare e facilmente accessibili attraverso gli strumenti tecnologici, dai siti web istituzionali alle varie piattaforme della comunicazione digitale.

Nell’era della “rivoluzione sociale” tutti noi scienziati, medici e non, abbiamo due scelte possibili: lasciarci sopraffare dai social media o imparare a usarli e intervenire. L’utilizzo dei social media in sanità e in campo vaccinale risulta sempre più necessario per fare “community engagement” (coinvolgimento e responsabilità partecipativa delle comunità) nella popolazione sulle tematiche della salute collettiva e della prevenzione vaccinale. Per ciascun social media l’approccio e il linguaggio cambiano in base al target. La sanità oggi richiede non solo bravi operatori sanitari, ma anche bravi comunicatori che sappiano creare un legame con le comunità, nella vita reale come in quella “virtuale”. La semplificazione mediatica riguardo i vaccini, in termini di pro e contro, non aiuta la comprensione del fenomeno. Questa contrapposizione non solo limita la capacità di indagare la questione dell’esitazione, ma altera anche le condizioni affinché la scienza faccia chiarezza e offra possibili risposte. In ogni caso, se l’ambito naturale del confronto scientifico sulla produzione della conoscenza si sposta sul piano mediatico, l’effetto non può che essere una circolazione eccessiva e disordinata di informazioni che può determinare idee e comportamenti discordanti. A questo punto anche le informazioni fornite dagli esperti appaiono insufficienti e incerte e non bastano a consentire una scelta ponderata e consapevole, diventando oggetto di strumentalizzazione politica ed enfatizzazione mediatica. 

Si dice che quello attuale sia il tempo dei social.

Secondo stime recenti sono ormai quasi 35 milioni le persone presenti e attive sui canali social, che vi trascorrono quasi 2 ore ogni giorno. Una rete sociale che permette agli individui di mettersi tutti in contatto virtualmente. Un mezzo che è diventato luogo, che implica convivenza, rapporti personali condivisi o in contrasto, spesso esagerati ed esasperati, luogo-contenitore in cui si muovono sempre più persone, riversandovi un flusso di dati, informazioni e opinioni. Sulla rete è possibile oggi prendere parte a una discussione di gruppo sugli argomenti più diversi, seri, meno seri e frivoli. Un certo numero di persone si alterna a commentare una situazione per iscritto ma utilizzando frasi relativamente brevi. Non è chiarissimo perché questo abbia preso così tanto piede, ma si può pensare almeno che si tratti di un modo semplice ed efficace di comunicare il proprio credo con un pubblico quanto più vasto e non restare soli. I membri di un gruppo, esplicitato e non, passano in rassegna diverse tematiche e le commentano. A questo punto non si tratta solo di non rimanere soli, ma soprattutto di avere l’opportunità di far valere la propria opinione.

Un po’ per la brevità degli scritti e un po’ per la mancanza di chiarezza sulle varie questioni, si accendono a volte discussioni che possono anche non avere alcuna utilità e rappresentare soltanto uno scarico di frustrazione e di rancore. Di nuovo non è chiaro perché sia così, ma il fenomeno nel suo complesso contribuisce ad aggravare lo stato emozionale, anche molto agitato, che può stare dietro ad alcune affermazioni.

Sarebbe molto difficile spiegare tutto questo a uno che queste cose non le ha mai viste e non le ha mai praticate, ma di fatto il fenomeno è abbastanza diffuso e molti sono in grado di seguire quello che si può dire sulla dinamica dei social. È un esercizio di psicologia sociale apparentemente isolato e privo di collegamenti con altre nostre attività, ma chiaramente sintomatico di ciò che accade dentro di noi quando partecipiamo a un esame collettivo di una determinata questione. Si può vedere allora di tutto: ripetizioni ossessive, dietrofront improvvisi, salto di argomento portato avanti senza preavviso, o radicalizzazione delle posizioni di uno o dell’altro partecipante. Il fenomeno social è come una spia, un rivelatore, un amplificatore di moti interni che mischiano emozione e ragione. Se dovessimo giudicare sulla base dei social saremmo una comunità piuttosto confusa o, peggio, confusamente perentoria.

Ma non è nemmeno così semplice. Sapere che non si è controllati dà sfogo a tutto di noi, anche il peggio, facendo apparire assassini anche alcuni che non hanno mai fatto male a una mosca. Paradossi dell’animo umano, sempre pronto a mostrare il peggio di sé, se si ritiene al sicuro. Ma, come dice Francesco Petrarca: “O che lieve è ingannar chi s’assecura!”. 

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