Covid, zone rosse e media del pollo

di Massimo Adinolfi
Mercoledì 11 Novembre 2020, 23:30 - Ultimo agg. 12 Novembre, 07:00
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Non è questione di Totò e Peppino: se la Campania non può finire in zona gialla, dove attualmente resiste, non è perché al Sud le cose non possano funzionare bene (come a Milano non può fare caldo, diceva un Totò tutto imbacuccato sotto il sole, contro ogni evidenza).

Ma perché gli indicatori previsti dal Ministero, la bellezza di ventuno parametri, si basano su una media regionale, mentre la pressione che il contagio esercita sul sistema sanitario è a livelli di allarme in due province in particolare, le più densamente abitate: Napoli e Caserta. 

Non è questione di Totò e Peppino, dunque, ma di medie. Cioè del pollo di Trilussa. Quel pollo che tocca a ciascuno. In media, anche se poi c’è chi ne ha due e chi non ne ha nessuno. Stavolta si tratta di province. Che non si trovano nella stessa emergenza, che non hanno gli stessi indici di affollamento al pronto soccorso, in corsia o in terapia intensiva, e che dunque sono in una condizione palesemente diversa. Che al Cardarelli – solo per fare un esempio - la situazione si sia fatta insostenibile è sotto gli occhi di tutti, e anzitutto del personale medico e paramedico chiamato ad operare in prima linea. Ma i dati, che addentano il pollo e lo dividono fra le cinque province, continuano a dire altro. Il report settimanale analizzato dal Comitato tecnico-scientifico e dal Ministero dice che la Campania ha un indice di rischio, calcolato su base regionale, compatibile con la collocazione in fascia gialla. Non c’è motivo di dubitarne. Ma c’è motivo di dubitare che sia un buon sistema di raccogliere e processare i dati, quello messo su dal Ministero, visto che non è in grado di produrre decisioni e valutazioni differenziate che tengano conto di specifiche situazioni di crisi.

Oppure è possibile? Oppure il giallo della Campania nasconde un pericolosissimo rimpallo di responsabilità? Lasciamo perdere i retroscena, le voci di corridoio e i sottotesti (politici e non politici). Quel che è certo, è che un sistema che è incapace di adottare provvedimenti più restrittivi nelle province di Napoli e Caserta, per via della media regionale sotto soglia, non funziona. Non è adeguato, non risponde con la necessaria flessibilità, prontezza, intelligenza della realtà.

Né si può chiedere ai cittadini di prendere loro, su di sé, la parte di Totò e Peppino: il Ministero colloca la Campania in fascia gialla, la Regione dice che il piano sanitario e ospedaliero tiene senza problemi, dunque le ambulanze che sostano in coda davanti al pronto soccorso (e la carenza di personale medico, e la scarsità di ossigeno, e questo e quello) non ci sono perché non ci possono essere.

Come il caldo a Milano.

Se c’è una cosa che la prima ondata ci ha insegnato, è che è fondamentale, per l’adozione di determinati comportamenti, che si abbia piena fiducia nelle autorità che quei comportamenti raccomandano, esigono, a volte impongono. Questa fiducia viene meno, purtroppo, se la realtà va da una parte, e i comunicati ufficiali vanno da un’altra. Se le dichiarazioni sono più roboanti delle decisioni, se i dpcm si accavallano frettolosamente, se i diversi livelli di responsabilità si scontrano invece di parlare e muoversi all’unisono. Il Presidente De Luca ha chiesto “un confronto immediato e pubblico sui dati della Campania”. Quel confronto c’è stato, e la Campania è rimasta nella fascia di minor rischio. I dati sono corretti, fino a prova contraria.

Dopo i dati, però, ci vogliono pure le spiegazioni. E sarebbe bene che non solo i dati ma pure le spiegazioni venissero confermate da tutte le parti (previo confronto immediato e pubblico, si capisce). Altrimenti davvero si fa fatica a capire perché il consulente del ministro Speranza, Walter Ricciardi, continui a dire che Napoli dovrebbe essere dichiarata zona rossa. Perché? Gli indicatori del Ministero non parlano chiaro? I parametri sono calibrati male, sono di grana troppo grossa? Eppure sono ventuno! Oppure c’è una decisione troppo onerosa che nessuno vuole prendere? Perché delle due l’una: o la situazione a Napoli è ormai fuori controllo, e allora prima si prendono le misure appropriate e meglio è; oppure la preoccupazione di Ricciardi (e di quelli che vedono le file di ambulanze dinanzi agli ospedali) è infondata, e allora occorre che sia data piena assicurazione che non c’è alcuna drammatica emergenza sanitaria in corso. E che venga, anche questa rassicurazione, da tutte le parti. Congiuntamente.

Invece vengono gli ispettori. Invece il presidente dell’Istituto Superiore della Sanità, Brusaferro, lascia una dichiarazione che è un capolavoro di reticenza: «riteniamo validi dati della Campania ma approfondimenti sono in atto per cogliere aspetti che potrebbero completare una analisi che è in corso». Nessuno ha detto al dottor Brusaferro che parole simili gettano fumo, generano allarmi non si capisce quanto ingiustificati, e procurano la sgradevolissima impressione che si stanno rigirando una patata bollente fra le mani?

Bollente perché impopolare, ovviamente. Ma non è una gara di popolarità, quella in corso. La popolarità è per Totò e Peppino, per la politica è il tempo, difficile, del pieno esercizio delle piene e rispettive responsabilità. 

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