Soluzione lampo, il Paese ​chiede la ripartenza

di Mario Ajello
Sabato 16 Gennaio 2021, 00:00 - Ultimo agg. 08:00
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Chiudete la pratica, sbrigatevi, fate presto. La parentesi della crisi, che parrebbe in via di soluzione, non distragga dalla pandemia. Anzi, deve servire come spinta per rilanciare la lotta all’emergenza sanitaria, per rafforzare l’impegno finora insufficiente contro le tremende ricadute economiche e sociali del virus, per creare un programma vero di ripartenza del Paese. 

Come tutti i cittadini chiedono alla politica ma non hanno avuto in questi mesi risposte all’altezza delle profonde esigenze.

Ok, la soluzione di governo, piaccia o non piaccia, ossia quella del ricorso ai responsabili o ai costruttori e con i renziani in via di pentimento, è stata trovata a scanso di sorprese dell’ultimo minuto ma è essenziale che sia in cottura anche una bistecca di tigre a Palazzo Chigi, capace di dare energia nuova a un governo che ne ha avuta poca e che ha usato gli attacchi di Renzi anche come alibi per distrarsi ancora di più dalle sue distrazioni. Ora le scuse sono finite. Ed è il momento giusto per far partire un governo più efficiente, basato su solidi pilastri per la ricostruzione - un Recovery Plan molto più ambizioso di quello versione numero uno e ancora più ficcante di quello versione due, migliorata grazie allo stimolo renziano - e positivamente ossessionato dall’orizzonte pratico e non poetico dello sviluppo, degli investimenti sulla sanità, sul Sud e su tutto ciò che merita di essere implementato. 

Non sono più possibili amnesie e ritardi. Gli italiani, popolo paziente, hanno consentito questa parentesi politichese della crisi, e vanno ripagati per questo e per tutto il resto con un surplus di attenzione rapida e operativa ai loro bisogni. E alle impellenze di un Paese la cui crisi da pandemia - secondo il Rapporto Cnel sul mercato del lavoro - ha colpito circa 12 milioni di lavoratori tra dipendenti e autonomi, per i quali l’attività lavorativa è stata sospesa o ridotta. E questo, con cassa integrazione e blocco dei licenziamenti in vigore. Quando questi due strumenti di protezione non ci saranno più, la situazione potrà essere esplosiva. 

Ecco, non fa una bella impressione quel clima di rilassatezza da pericolo scampato che immediatamente è calato dentro Palazzo Chigi. Da dove, in modalità abbiamo scampato la nottata, arrivavano messaggi del tipo: l’aria è serena. Serena? Il pericolo è che il Conte rafforzato (ma poi vediamo come andrà a finire martedì la conta in Senato) si coccoli adesso sugli allori e riprenda il suo passo lento che non era solo Renzi a vedere e a stigmatizzare ma l’intera comunità nazionale. Uscire dal piccolo cabotaggio di prima è la sfida politica che si impone adesso.

Perché il virus corre più che mai e la lentocrazia o gli equilibrismi o la paura di prendere quelle decisioni impopolari, in materia di chiusure e di confinamenti che forse ancora serviranno, non possono venire sacrificate sull’altare di una nuova (falsa) sicurezza di Palazzo e di una pericolosissima assuefazione al virus. Che in questi ultimi tempi è sembrato essere diventato, agli occhi della classe politica, quasi come un compagno di strada con cui convivere e non la catastrofe che è per la vita materiale, ma anche civile e spirituale, di tutti. 

Si riparte, sperabilmente, ma occorre il doping della responsabilità, più che quello dei cosiddetti “responsabili”, e non l’autocompiacimento del governo per averla scampata. Tocca fare molto meglio e molto di più. Bengovernando un’epidemia malgovernata. Mettendosi pancia a terra sul Recovery Plan perché somigli davvero a quello di Paesi come la Francia e come la Germania, e perché produca fatti e frutti misurabili in prospettiva (il più breve possibile) nei settori vitali del sistema. Si pensi alla pubblica amministrazione: in Italia i dipendenti pubblici più giovani sono (18-34 anni) sono poco più del 2 per cento del totale, a fronte del 21 in Francia e del 31 per cento in Germania. Più giovani nel cuore e nel motore della macchina dello Stato significa più digitalizzazione, più efficienza, più rapidità a disposizione della popolazione: cose così devono assorbire le energie e devono diventare le priorità del governo. E sarebbe un suicidio, che i cittadini faranno pagare caro al Conte bis bis o al Conte ter, non prendere per le corna questi che sono i temi veri di interesse generale, per sprecare invece il tempo nelle discussioni sulla distribuzione delle nuove poltrone di potere e di sottopotere, visto che non sono gratis gli aiuti che si ricevono da parte dei “responsabili”. Oltretutto, le nuove spartizioni di poltrone quando cambiano gli assetti politici dipendono, più che da meritocrazia e competenze, da alchimie partitiche e questo non aiuta mai e meno che mai in un periodo così particolare in cui è richiesto un professionismo assoluto e non lottizzato. 

Il livello della sfida dunque si è alzato per Conte che succede probabilmente a se stesso. Il premier e la sua squadra, saranno all’altezza di questo necessario salto di qualità? È quello che gli italiani vogliono capire. Infischiandosi se lui faccia o meno un suo nuovo partito. Perché sanno benissimo che i problemi sono altri e non riconducibili al chiacchiericcio ma passibili di interventi drastici e illuminati. 

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