Dalle terme al corallo
il sogno dell’Unesco

Dalle terme al corallo il sogno dell’Unesco
di Francesco Gravetti
Sabato 16 Febbraio 2019, 22:23
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Sono passati quasI tredici anni da quando al segretariato dell’Unesco arrivò la richiesta di candidatura dei Campi Flegrei per il riconoscimento del sito come patrimonio dell’umanità. I Campi Flegrei furono candidati per una loro caratteristica unica: il fenomeno del bradisismo. Era il giugno del 2006 e il bradisismo si trovava in buona compagnia: i centri storici di Orvieto e Lucca, le Murge di Altamura, le Mura veneziane di Bergamo. Undici anni dopo, solo Bergamo riuscì a fare festa: il sigillo arrivò nel 2017. I Campi Flegrei, invece, sono ancora in attesa: il bradisismo ogni tanto fa tremare la gente del posto, qualche scossa rilancia l’antico allarme ma del logo Unesco non c’è traccia. E comunque, ricorda Francesco Emilio Borrelli, oggi consigliere regionale e allora assessore provinciale che seguì la vicenda: «Quella candidatura nacque in piena emergenza rifiuti, era un traguardo difficile da raggiungere». 

L’ITER
Nonostante le difficoltà, però, la lista dei siti in provincia di Napoli che aspirano ad avere il marchio Unesco si allunga anno dopo anno. Questione di prestigio, di turisti in più, di visibilità e, perché no, anche di soldi. E allora ecco che la corsa a vedersi certificata la «grande bellezza» non si arresta praticamente mai. Recentemente è toccato a Castellammare di Stabia e a Palma Campania: la prima per le ventotto sorgenti di acqua, la seconda per lo storico Carnevale delle Quadriglie. Ma, per adesso, si tratta di idee. Nulla più. Prima della meta, la strada è lunga e impervia. Innanzitutto bisogna mandare la richiesta di iscrizione alla cosiddetta «tentative list», con la quale lo Stato segnala alWorld Heritage Center-WHC i beni per i quali intende chiedere l’iscrizione. La richiesta va inoltrata alla Commissione nazionale italiana per l’Unesco, con un formulario che non è proprio semplicissimo da compilare. La commissione poi interpella i vari ministeri e altre eventuali istituzioni, completa il dossier e formalizza la candidatura. A quel punto bisogna sperare che l’Unesco dica sì. Una faticaccia, insomma. E possono passare anche anni. 
Ne sanno qualcosa a Nola, dove la storica festa dei Gigli ha ottenuto l’agognato marchio nel 2013, dopo oltre otto anni di attesa. La svolta è arrivata con l’inserimento della kermesse nella rete «feste con macchine a spalla», che include anche la «Varia» di Palmi, i «Candelieri> di Sassari e le celebrazioni a Viterbo per Santa Rosa. Patrizia Nardi è stata il responsabile tecnico-scientifico dell’iter e spiega: «La vera difficoltà sta nel passare dall’idea alla proposta e poi alla candidatura vera e propria. E, in ogni caso, il marchio Unesco ti conferisce anche un obbligo morale: quello di continuare a tutelare e valorizzare il bene nel migliore dei modi». Quanto ai fondi, ci ha poi pensato il deputato di Forza ItaliaPaolo Russo a proporre una legge, approvata nel 2017, che equiparasse i beni materiali (come Pompei o il centro storico di Napoli) a quelli immateriali come la festa dei Gigli.

GLI ASPIRANTI
L’elenco di chi aspira ad entrare nel gotha del patrimonio mondiale dell’umanità partendo da Napoli è, comunque, molto lungo. Alcune volte ci si limita alla suggestione, come nel caso della Marina di Corricella a Procida, la cui prima petizione per la candidatura risale addirittura al 2001. Altre volte si va nel concreto, come la possibile candidatura della lavorazione artigianale del corallo e del cammeo di Torre del Greco, per la quale Assocoral si sta spendendo molto. «Ci stiamo lavorando dal 2016, è un processo lento e delicato, ma non molliamo la presa», fanno sapere dall’associazione dei produttori corallini, reduci da un evento espositivo in Argentina. Poi c’è la tradizione partenopea, intesa come città di Napoli, che sogna di fare incetta di sigilli Unesco: Pulcinella, la canzone napoletana, il caffè. Passano tutti per un Osservatorio istituito dal consiglio regionale, del quale fa parte Francesco Emilio Borrelli, secondo il quale chi ha concrete chance di farcela è un bene «outsider», una sorpresa che non ti aspetti: il pane di San Sebastiano al Vesuvio. Il motivo? Il procedimento per realizzarlo è simile alla pizza, che il marchio Unesco se l’è aggiudicato di recente.
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