Dirigenti capaci per sbloccare le pratiche ferme

di Paolo Pombeni
Giovedì 30 Marzo 2023, 23:45 - Ultimo agg. 31 Marzo, 06:00
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Che prima o poi venisse al pettine il nodo delle debolezze nel sistema della Pa era dato per scontato in tutte le sedi dove si fa analisi e non propaganda politica. Altrettanto lo è la sfiducia nell’effetto di rimbalzo che l’evento dovrebbe avere: si dubita che ciò spinga a metter mano ad una razionalizzazione del sistema. Il fatto che tutto stia accadendo intorno alla vicenda della capacità di impiegare i 192 miliardi del Recovery Europeo aggiunge drammaticità.

Perché è in gioco la perdita di una occasione storica. Si denuncia il gioco di scaricabarile: è colpa del governo Conte 2, no di quello Draghi, no di questo guidato da Meloni. In realtà la colpa sta per lo più nel manico: l’essersi buttati a dover presentare in tempi abbastanza ristretti progetti più o meno compiuti e aver dovuto soggiacere all’idea di distribuire il più possibile la torta disponibile, per cui qualcosa si doveva dare anche a regioni, comuni, ecc. È questo che ha determinato la corsa a svuotare i cassetti dei progetti che si avevano più o meno pronti rivestendoli delle parole d’ordine che si supponeva fossero gradite a Bruxelles (per cui, tanto per dire, restaurare stadi e migliorare parchi rispondeva al progresso dei contesti urbani).

Dietro questo caos calmo sta però la spinosa questione del cattivo stato di salute della nostra amministrazione pubblica. Non è un mistero che le nostre burocrazie, in quasi tutti i comparti, abbiano un alto tasso di invecchiamento, un turn over bloccato per recuperare anni ormai lontani di “infornate” nell’impiego pubblico, e soprattutto scarsa attrattività per cui non interessano alle intelligenze ed alle energie migliori del Paese. Richiamare eccezioni, che ci sono e che non si vogliono negare, diventa però un’ipocrisia per evitare di fare i conti col livello medio e “normale” di funzionamento della macchina pubblica.

Vale per l’amministrazione centrale, vale per le amministrazioni regionali, per quelle comunali. Tocca tanto i livelli dirigenziali che la struttura impiegatizia, dimenticando che anche nell’ipotesi di avere ottimi generali, questi vinceranno poche battaglie se hanno truppe mal addestrate e poco motivate.

Un problema è senz’altro dato da un sistema di retribuzioni non certo generoso, a parte nicchie apicali dove la generosità c’è, ma non sempre si capisce quanto sia giustificata. Un tempo a queste manchevolezze si suppliva con il (supposto?) prestigio dato dal ruolo (l’orgoglio di vestire “la giubba del re”) e con la garanzia di un posto fisso e di una pensione, privilegi che una volta erano molto meno ottenibili nel “privato”.

Ovviamente sono davvero molti decenni che non è più così, tanto che di questi “miti” si è persa memoria nelle generazioni succedutesi negli anni.

Si obietterà che le attuali difficoltà con la gestione del Pnrr non possono essere affrontate a partire da questa crisi del sistema di amministrazione pubblica, perché non c’è tempo a disposizione. Meglio mettere in campo azioni di semplificazione (o presunte tali), ricorrere a tamponamenti straordinari, ecc. Sebbene azioni di quel tipo non vadano demonizzate a priori, ma semmai maneggiate con attenzione, esse non risolvono il problema di una arretratezza che va superata.

Rendere attrattivo il mettersi al “servizio del bene pubblico” (questo deve fare la burocrazia) è un imperativo se vogliamo avere a tutti i livelli personale all’altezza di quella grande trasformazione in cui è impegnato il nostro paese. 
Ci vogliono retribuzioni adeguate, soddisfazioni sul lavoro, carriere che non siano semplicemente modulate sul vecchio sistema del passare lentamente di grado in grado per lo più per anzianità, riconoscimenti sociali ancor più necessari oggi in una società dominata dalle gerarchie stabilite dall’opinione pubblica.

Sarebbe ingiusto non vedere che qualcosa si è fatto e si sta facendo: nei ministeri e non solo, negli enti locali, ci sono delle assunzioni, spesso navigando in mezzo a limitazioni varie per cui si finisce negli impieghi a tempo determinato. C’è però da tenere conto che si devono immaginare sistemi integrati di servizio, perché non avrebbe senso, né sarebbe possibile, riprodurre a cascata posizioni altamente qualificate fino ad arrivare ad ogni piccolo comune. D’altronde sarebbe anche realistico sapere che neppure a livelli più strutturati sarà sempre possibile disporre di quei servizi specializzati che non costituiscono routine, per cui si dovrebbe immaginare un sistema di centri di servizio pubblico che lavorino nell’interesse di una pluralità di soggetti istituzionali.

Il sistema è senza dubbio complicato, non fosse altro perché nel nostro contesto si mescolano necessità di competenze tecniche con esigenze di controllo del contesto normativo (più che intricato) in cui la pubblica amministrazione deve muoversi. Concludere con una noticina che richiami alla esigenza di gestire questa necessaria e delicata riforma tenendola al riparo dagli appetiti delle varie fazioni politiche è assolutamente doveroso.

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