Ripudiare l'austerity ​per favorire la crescita

di Sergio Beraldo
Mercoledì 21 Aprile 2021, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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Dopo esser stata vituperata, non solo in Italia, da salottieri radical chic e internauti affamati di mostrare la propria capacità di porre il dito nella piaga, la crescita economica torna in auge, collocandosi al centro dell’azione politica. «Convinzione profonda del governo è che la partita chiave per il nostro Paese si giochi sulla crescita economica come fattore abilitante della sostenibilità ambientale, sociale e finanziaria», scrive Daniele Franco nella premessa al Documento di Economia e Finanza. 

Una buona premessa, che recupera un elemento spesso trascurato nella discussione pubblica, e dunque trascurato dalla gran parte dei politici che la frequentano pur senza avere per essa un vero interesse. Ovvero, che l’organizzazione sociale e politica che ci siamo dati, e che nonostante le storture che vorremmo raddrizzate ci garantisce un apprezzabile livello di benessere, dipende, appunto, dalla crescita. 

La ragione fondamentale di questa dipendenza del benessere dalla crescita è facilmente individuabile; ed è politica. La stabilità di cui gode un regime democratico aumenta con l’accesso di fasce crescenti della popolazione a più elevati livelli di benessere. Una circostanza che può essere assicurata solo se si amplia la capacità del sistema economico di produrre beni e servizi. Se infatti la torta non cresce, si può ottenere di più solo sottraendo qualcosa agli altri. Il conflitto distributivo si acuisce, la lotta per le risorse s’accende; mentre, di converso, si affievolisce il sentimento di solidarietà nei confronti di chi versa in una condizione di svantaggio. 

Le rivendicazioni che hanno segnato i mesi antecedenti l’irrompere della pandemia - il regionalismo differenziato, la messa in discussione di consolidati meccanismi redistributivi che a detta di autonomisti di vario tipo favorirebbero le regioni del Mezzogiorno – si radicano in vent’anni di crescita economica asfittica. In vent’anni di declino non solo economico, ma demografico e sociale; un declino che ha contribuito a rendere maggiormente gravoso il carico fiscale connesso con la redistribuzione.

Vi sono fondate ragioni per ritenere che l’appandoramento di quella che dovrebbe invece configurarsi come una struttura demografica a piramide, e il ristagno delle risorse disponibili, hanno reso arduo, anche politicamente, reperire le risorse necessarie per finanziare una maggiore equità, tra individui e tra aree.

In una situazione in cui, peraltro, è sensibilmente cresciuta la domanda di protezione espressa dai cittadini. Una circostanza che trova spiegazione sia nelle più frequenti turbolenze che con la globalizzazione colpiscono con violenza anche solo alcuni settori dell’economia, specie quelli maggiormente esposti alla concorrenza internazionale; sia perché, con la tecnologia, è cresciuto il costo dei servizi che i cittadini vorrebbero vedersi garantiti. 

Con l’incapacità di rispondere a un’accresciuta domanda di protezione, è aumentata anche l’instabilità politica. L’ascesa del sovranismo in Occidente può in parte essere ricondotta al diffuso sentimento di precarietà percepito da ampi strati della popolazione, e al risentimento scatenato da un’esposizione senza giudizio alle turbolenze prodotte dalla globalizzazione.

Non è un caso che per una breve stagione a partire dal 2018 l’Italia sia stata ostaggio di una prospettiva che oscillava tra la negazione di molte verità elementari –anche evocando Latouche, e la sua proposta di decrescita serena – e un insulso sentimento anti-europeista, foriero di un arroccamento alla Kim Jong-Un.

Bene, dunque, la premessa del Documento di Economia e Finanza. Adeguata la prospettiva di ripudiare, almeno temporaneamente, l’austerity. Una linea sostenuta da economisti di area critica da almeno un decennio; un fatto che andrebbe riconosciuto. 

Temi di grandissima rilevanza, in ogni caso, su cui è bene concentrare la discussione pubblica. 

Un’occasione è a tal proposito costituita dal ciclo di incontri «Recovery Lab», organizzato dal Dipartimento di Scienze Economiche e Statistiche della Federico II, in cui, dopo Tito Boeri, saranno chiamati ad esibirsi, sul palcoscenico virtuale di Zoom, altri protagonisti del dibattito attuale di politica economica, come Carlo Cottarelli (info per la partecipazione a: www.dises.unina.it).

La sfida è quella di capire cosa significa ripudiare l’austerity; se spendere meglio è possibile; se il carico del debito sui contribuenti si può anche lenire aumentando il loro reddito, piuttosto che riducendolo con la tassazione. 

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