Edificio Italia, la concretezza che serve

di Enrico Del Colle
Giovedì 4 Giugno 2020, 23:18 - Ultimo agg. 5 Giugno, 06:30
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Appare ragionevole sostenere che il tetto di un edificio vada riparato e/o ammodernato quando c’è il sole, ma - aggiungiamo noi – dopo aver verificato che le fondamenta siano ben solide. Ora, l’edificio Italia è compatto sotto il profilo economico e sociale a tal punto che si possa pensare a “sistemare” il tetto ammesso che ci sia il sole e non la tempesta?

La domanda non deve sembrare fuori luogo perché a sentire i nostri decisori politici i cosiddetti “fondamentali” appaiono solidi anche se in questi tre mesi è accaduta la tragedia Covid-19, con le drammatiche conseguenze che sta trasferendo sulla vita dei cittadini. Vogliamo qualche dato al riguardo? Diciamo subito che nel bimestre marzo-aprile la produzione industriale è precipitata di oltre il 50% (stima Confindustria), fatto senza precedenti, così come lo è la segnalazione di più dell’80% delle imprese di aver almeno dimezzato la propria attività. Oltre a ciò, il debito pubblico “corre” verso il 160% del Pil, lo spread resta intorno ai 200 punti base (reso sostenibile grazie alla Bce), la deflazione prova e riaffacciarsi con il carico di insidie che essa comporta, il Sistema sanitario ha bisogno urgentemente di recuperare strutture ed energie e, da ultimo, i “freschi” dati Istat sull’occupazione che nel mese di aprile - rispetto a marzo - registrano un calo di quasi 375mila unità (con un tasso sotto la soglia del 58% che non accadeva da ben tre anni).

Attenzione, però, chi si affida all’economia “elettorale” potrebbe contestualmente affermare che la disoccupazione si è ridotta nello stesso periodo di ben 500mila unità (portando il tasso a poco più del 6%, livello mai verificatosi in Italia), magari “dimenticando” di dire che nello stesso tempo il numero degli inattivi (persone che non lavorano e neppure lo cercano) è “esploso” raggiungendo la cifra di 14,5 milioni di individui (con un incremento di circa 750mila unità, con tasso superiore al 38%), testimoniando, quindi, il “travaso” dalla disoccupazione all’inattività e creando, sotto l’aspetto economico ma soprattutto sociale, una situazione anche peggiore. Quest’ultimo dato, tra l’altro, ben si correla con i disagi delle famiglie che stanno sempre più impoverendosi e non sarà certamente il risparmio privato a sostenere quelle a basso reddito. Pur andando nella corretta direzione, i relativi provvedimenti di sostegno predisposti dal governo appaiono insufficienti sul piano quantitativo e qualitativo in quanto gli aiuti dovrebbero “arrivare” – e non è successo - alle famiglie monoreddito e verosimilmente con scarsi risparmi da utilizzare; inoltre, andrebbero individuate e sostenute le numerose famiglie che vivono, soprattutto nel Sud del Paese, di saltuarietà e di irregolarità nell’approvvigionarsi le risorse necessarie per una vita dignitosa, ricordando che venir fuori dalla povertà è molto più difficile che entrarci. Il piano territoriale, poi, aggiunge preoccupazione al disagio: un report appena pubblicato dall’Istat certifica che, prima del coronavirus, quasi il 65% del valore aggiunto complessivo prodotto dalle imprese è stato di pertinenza di quelle insediate al Nord, il 20% di quelle del Centro e poco del 15% di quelle del Sud; inoltre, il 25% circa dei comuni del Nord era ad alto valore aggiunto, mentre lo era meno del 10% al Sud. Tale divario, che potrebbe essersi accentuato in questi mesi di chiusura, non aiuta certamente il Paese a ritrovare una traiettoria economica efficiente, né tantomeno contribuisce a ritrovare quella coesione sociale di cui il Paese ha fortemente bisogno. 

Insomma, alla luce dei dati, la robustezza socioeconomica dell’edificio Italia sembra un po’ compromessa e per provare a riconquistare solidità e per rilanciarsi si aspettano le risorse provenienti dal decreto “Rilancio” e soprattutto dall’Europa. Ma, concretamente, che Paese desideriamo “edificare” nel tempo? Che visione progettuale abbiamo? Alcune importanti linee guida per un’efficace destinazione delle risorse sono appena accennate nel decreto “Rilancio” – vedi al capitolo riqualificazione energetica degli immobili e alle opere di prevenzione antisismica – ma sono presenti soprattutto nel “pacchetto” europeo che, forse non a caso, viene incontro alle stringenti esigenze del Paese, che abbiamo sopra evidenziate. Infatti, sono già disponibili risorse per sostenere le imprese (fondo Bei), per sostenere lavoratori e famiglie (fondo Sure) e per ristrutturare il Sistema sanitario (fondo Mes).

Poi ci sono le risorse del Next Generation Eu - per ammodernare il Paese - destinabili alla green economy, alla digitalizzazione e all’innovazione, quelle indirizzabili verso nuove strategie sulla biodiversità, verso la riduzione della disoccupazione (soprattutto giovanile) ed altre in direzione di aiutare le imprese dei Paesi più colpiti dalla pandemia. Non mancano, ovviamente, risorse per la Sanità con l’obiettivo di prepararsi a fronteggiare eventuali crisi sanitarie future. L’insieme di queste risorse, se utilizzate con lungimiranza e competenza, senza vuote discussioni, ma selezionando progetti per serie riforme e piani di investimenti trasparenti ed efficaci – richiesti, tra l’altro, anche dall’Ue per assegnare i fondi – rappresenterebbe una visione reale di un Paese moderno e consentirebbe, finalmente, di avviare, nel rinnovamento, quel percorso di solida ricostruzione e di crescita virtuosa volta, in particolare, ad una significativa riduzione del debito pubblico, principale elemento di freno allo sviluppo della nostra economia. Saremo in grado di attuare ciò in un tempo ragionevole senza dannose dilatazioni? Difficile rispondere perché momenti di “ansioso pessimismo” – sospinti dalla consapevolezza e dalla preoccupazione di essere da anni un Paese collocato agli ultimi posti (o quasi) di qualsiasi graduatoria socioeconomica europea - e tracce di “inguaribile ottimismo” – legate alla presunta convinzione di portare a termine entro pochi anni gli indifferibili provvedimenti finora solo annunciati e (quasi) mai realizzati - sembrano alternarsi tra Istituzioni, analisti, esperti e cittadini comuni. Riusciremo a trovare la giusta sintesi? Ai posteri l’ardua sentenza!
 
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