Elena, Diego e l’egoismo oltre la morte

di ​Giuseppe Montesano
Domenica 28 Giugno 2020, 00:00 - Ultimo agg. 08:00
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Un uomo che si uccide è sempre una tragedia, e chiunque si tolga la vita non può essere condannato da nessun’altro, ma può solo avere la pietà di chi, in quanto uomo fragile come lui, gli è fratello. 

E chi potrebbe levarsi a scagliare la prima pietra sul prossimo ignorando fino a che punto il dolore, della mente o del corpo, possa spingere chiunque di noi? 

Ma se questo è vero, e lo è per chi scrive qui, tutto cambia quando chi si toglie la vita vuole toglierla anche agli altri perché lo “accompagnino” nella morte: come è accaduto già troppe volte e come accaduto ieri nella casa delle vacanze di una famiglia nei pressi di Lecco. E di fronte a un “egoismo” talmente mostruoso da spingere un padre a uccidere i due figli nel letto, strangolandoli o chissà come, ci si sente invadere da una rabbia profonda, e poi da una profonda impotenza: la sensazione davvero di non avere parole da dire, di essere ingoiati dal buio. 

La cronaca è un incubo, e sembrerebbe questa: Mario Bressi ha 45 anni, si sta separando dalla moglie, non ha problemi economici, è andato in vacanza nella sua casa in montagna, ha strangolato i figli Elena e Diego, ha scritto un messaggio alla moglie che diceva: “Non rivedrai mai più i tuoi figli”, ha mandato su Instagram una foto di se stesso con i figli con scritto: Sempre insieme, e poi si è buttato da un ponte. 

Un uomo che si uccide “portandosi” i figli nella morte non è un suicida, ma è uno che compie una strage di fronte alla quale impallidiscono persino le stragi del più atroce terrorismo. Ma forse anche questo non è abbastanza, perché c’è in questo gesto qualcosa di più oscuro, e liberarcene dicendo che si tratta di follia è troppo facile. E se invece si trattasse di cultura, cioè di un modo di pensare e sentire le cose della vita? E in questo caso di una cultura totalmente mortuaria che si fonda sull’idea di un “amore” che non è egoistico, no, ma è la manifestazione di una possessività avida e feroce? Non si manifesta forse in questa strage la cultura del possesso dei figli come se fossero un appartamento o un’automobile viventi, una cosa mia, una mia proprietà, sangue mio, ma che sono nella realtà due innocenti con tutta la vita davanti condannati a morte in quello che è un sacrificio umano? Ma la legge dei sacrifici umani in cui gli innocenti pagano per i colpevoli, o l’infamia degli imperatori che quando morivano condannavano a morte i familiari e i servi e i cani, e che poi si facevano seppellire con i morti e le stoviglie d’oro dovrebbe essere finita almeno da duemila anni! E non è possibile dire a una donna, che ha nutrito col suo corpo e con il suo amore i “tuoi” figli che sono sempre i “nostri” figli, e ha partorito i “tuoi” figli che sono sempre i “nostri” figli piangendo di dolore e di gioia, non si può gridare a quella donna “Non rivedrai più i tuoi figli” e considerare l’assassinio dei figli una vendetta! Così ci diciamo, sperando che sia vero. Eppure quella del possesso dei figli, considerati una proprietà assoluta, è una cultura che esiste, che di rado arriva a gesti estremi come quello che ha tolto la vita a Elena e a Diego, ma che ammala e avvelena e violenta le vite di molti figli, considerati come una estensione del proprio ego smisurato e come una compensazione della propria smisurata miseria interiore. E il pianto per quei bambini si strozza in gola, e provare a immaginare di stare nei panni di quella madre è un’illusione, perché ci sono dolori che vanno oltre le nostre forze e la nostra pietà. 

Quello in provincia di Lecco è un sacrificio umano compiuto nel centro stesso della nostra illusa modernità, un tenebroso rito praticato nel mezzo della civiltà contemporanea: e soffia su di noi il vento di epoche che ci piace credere scomparse, ma che sopravvivono tranquille nell’epoca del silicio trionfante. Eppure era venuto qualcuno a dire che si è padri e madri e figli e fratelli nello spirito e non nel sangue, che ognuno che cammina su questa terra è unico e insostituibile, che nessuno può considerare nessun’altro una sua proprietà, che la legge della vendetta è stata sostituita dalla legge dell’amore, e questa civiltà in cui viviamo ha costruito intorno a questa rivoluzione di duemila anni fa il suo diritto e la sua storia. E allora che possiamo fare? E allora si deve sempre ricominciare, perché nessuna civiltà dura senza il lavoro quotidiano di evolvere noi stessi, e nessuna civiltà dura se si fonda su una cultura mortuaria del possesso. Siamo creature fragili, ma è questo che ci rende umani. Ma dobbiamo ripeterci che l’orrore supremo è la volontà di potenza a spese degli altri. Ripeterci che le creature sono meravigliose perché sono diverse e uniche. E, nel silenzio più profondo, ricordare le vite innocenti stroncate, e le vite innocenti che possiamo forse aiutare, anche se solo di una briciola, anche se solo di un millimetro, ad arrivare più vive in un tempo davvero nuovo. 
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