Elezioni, 5Stelle e non voto: Sud lontano dal resto del Paese

di Pietro Perone
Lunedì 26 Settembre 2022, 00:05 - Ultimo agg. 08:00
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L’Italia sceglie il centrodestra a trazione Meloni ma appare più spaccata che mai. Record storico di astensione in Italia ma di gran lunga superiore al Sud. Ma non solo.

Nel Mezzogiorno è anche il risultato elettorale dei partiti a marcare la differenza con il resto del Paese: se Fdi, Pd e Terzo Polo ottengono percentuali di voti abbastanza omogenee rispetto a Nord e Centro Italia, i Cinquestelle al di sotto del Garigliano restano la prima forza politica come avvenne quattro anni fa.

Nulla a che vedere con le cifre del 2018, quando M5S ottenne il 54% in Campania, il 42% in Puglia e il 48% in Sicilia, ma la forbice del 25%-27% accreditata dai primi exit poll nelle regioni meridionali offre a Conte la possibilità di poter affermare che il Movimento non è finito, tanto sperare di conquistare anche alcuni collegi nella quota uninominale, in particolare nel Napoletano. Nulla può Impegno Civico di Luigi Di Maio che lotta per superare l’1 per cento.

La “rendita” di cittadinanza è interamente dell’avvocato ora nelle vesti di novello arringapopoli. Un successo elettorale che affonda le radici nel disagio sociale, frutto dello sviluppo rimasto una chimera anche durante i due governi guidati dallo stesso Conte, prima con la Lega e poi con il Pd.

Il Sud, nel festival delle illusioni e disillusioni di cui è vittima, ha scelto però di difendere la “paghetta” di Stato che ha trasformato la secolare “questione meridionale”, la non equa ripartizione dei fondi, la mancata capacità di spesa dei soldi inviati dall’Ue e il deficit di infrastrutture nella difesa a oltranza di questa stagione di neo assistenzialismo.

Toccherà a Giorgia Meloni e al governo che verrà dare risposte, vigilare sull’attuazione del Pnrr da cui dipende il futuro del Mezzogiorno, ma anche cercare di velocizzare la spesa di finanziamenti che continuano a essere utilizzati in ritardo e spesso male. Ma alla politica nel suo complesso spetta il compito di recuperare circa la metà di elettori che ieri hanno deciso di disertare le urne. 

Ha influito sicuramente il maltempo che ha flagellato per l’intera giornata Campania, Basilicata e Calabria dove la pioggia ha allagato anche le sezioni elettorali: solo a Napoli sessanta gli interventi per garantire la regolarità del voto spalando il fango.

Ma in quell’altissima percentuale “disertori” non ci sono soltanto coloro che hanno deciso di non uscire di casa per non rischiare di essere travolti da valanghe di detriti.

La curva dell’astensione è ormai crescente, drammaticamente in salita nel Mezzogiorno da molti anni anche quando la giornata elettorale è stata “baciata” dal sole: alle Politiche del 2018 votò in Campania il 52%, mentre alle Europee del 2019 si è scesi a circa il 40%. E neanche alle amministrative dello scorso anno a Napoli, con migliaia di candidati in campo, si è riusciti a superare il 47%. 

Le prossime settimane saranno monopolizzate dall’analisi del voto e dalla resa dei conti all’interno dei partiti, ma è un dovere della politica cercare di capire l’origine della disaffezione verso il principale strumento della democrazia in particolare nel Mezzogiorno, dove fra l’altro i giovani studiano nelle università del Nord e non sempre sono disposti a sobbarcarsi un viaggio per inserire la scheda nell’urna. 

Insomma, se in Calabria decidono di recarsi alle urne poco meno del 40% di cittadini rispetto a oltre il 50 per cento della media nazionale il problema è di tutti. 

Nel 1987, a ridosso della fine della prima repubblica, a fronte di calo di votanti pari all’11% rispetto alla precedente tornata si cominciò a discutere della tenuta democratica del Paese e della rappresentatività degli eletti, tema attuale all’epoca e stringente adesso in un Mezzogiorno in cui i meccanismi della partecipazione democratica vanno riattivati.

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