Democrazia, regole, ​formalismi e imperizie

di Massimo Adinolfi
Mercoledì 15 Settembre 2021, 00:00 - Ultimo agg. 06:00
4 Minuti di Lettura

C’è ancora il Consiglio di Stato, ma intanto il Tar Campania ha respinto il ricorso contro l’esclusione di ben tre liste civiche a sostegno della candidatura di Catello Maresca a sindaco di Napoli, e della lista “Prima Napoli”, espressione della Lega. E la cosa fa rumore, ovviamente, perché la corsa del magistrato ne viene seriamente danneggiata, e perché l’esclusione della lista di marca leghista incide anche sugli equilibri politici all’interno della coalizione di centrodestra. 

Una brutta botta, che va valutata su diversi piani.

Primo e fondamentale è senz’altro quello giuridico: ci sono regole, c’è una sentenza, ci sarà sicuramente un ricorso, e una decisione finale. In democrazia le regole non sono un appendice ornamentale: il loro rispetto è sostanza. Colpisce che Maresca rilasci dichiarazioni tonitruanti, come se i giudici potessero bellamente passar sopra la regolamentazione della materia elettorale. Che più di altre ha bisogno di certezze, perché riguarda il cuore del processo democratico. Proprio per questo c’è spazio anche per i ricorsi, e un ulteriore grado di giudizio. Il quale potrà e dovrà tenere conto delle disposizioni vigenti, come anche, però, delle ragioni addotte dai ricorrenti. Anche la forma, infatti, può diventare inutilmente formalistica, e i tribunali hanno lo spazio giuridico per regolarsi di conseguenza: quando ad esempio la ratio della legge si perde in previsioni normative ormai superate, o inutili, quando le eventuali carenze formali non inficiano il bene che la legge intende tutelare; quando cause di forza maggiore, o impedimenti di varia natura, giustificano le deficienze documentali. E così via: i margini di manovra ci sono; spetta al Consiglio di Stato dare valutazione e applicazione. Con tutta la delicatezza del caso, dal momento che in gioco è il bene più prezioso in democrazia, cioè l’espressione della volontà popolare.

Poi c’è un piano politico, che rischia di essere oscurato dalla fretta e dalla concitazione delle ore precedenti la presentazione delle liste, dagli accordi delle ultime ore, dagli inserimenti dei nomi all’ultimo minuto, dalle firme, dai timbri, dalle dichiarazioni. Tutto questo c’è, e pesa, ma non ne farei una questione di malasorte, di imperizia. Si tratta invece della qualità del processo democratico, e delle classi dirigenti.

Che in queste circostanze procurano sempre una sgradevole sensazione di faciloneria e improvvisazione. Vale per i singoli candidati, e vale per liste e coalizioni le cui file vengono ingrossate – ecco il punto – per scopi puramente elettoralistici. A destra come a sinistra. Nessun progetto, solo cordate e numeri da far lievitare.

Se allora qualcosa va storto, se – poniamo – il trafelato collaboratore un po’ imbranato porge fuori tempo massimo l’ultimo foglio con l’ultima virgola fuori posto sotto il grosso naso di un panciuto e supponente cancelliere, non si fa solo la gioia dei vignettisti, che come Honoré Daumier nell’Ottocento ne possono trarre motivo per un’implacabile caricatura del sottobosco politico e dell’onnipotente burocrazia: si certifica anche un ritardo di cultura e sensibilità politica, l’irrilevanza della dimensione programmatica, lo sfarinamento di strutture e organizzazioni. Viene ogni volta la voglia di rimpiangere i partiti novecenteschi, che non ci sono e non ci possono più essere ma che, nel raffronto, hanno tutto da guadagnare.

Infine c’è un ultimo piano, non meno rilevante. Al quale però si accede grazie allo Spid. Voglio dire: ieri le agenzie non hanno battuto solo la notizia che è stato presentato il referendum sulla cannabis, ma anche quella che riguarda la modalità di raccolta firme. Che può essere per la prima volta fatta online. Non più banchetti e notai, ma identità elettronica e firma digitale. E su twitter l’hashtag «spid» balza addirittura alle prime posizioni tra i trend topic del momento. C’è motivo per un’altra vignetta: da una parte la corsa affannosa del delegato di lista chiamato a presentare documenti su documenti in un luogo fisico preciso; dall’altra una procedura elettronica, che accelera e facilita enormemente l’ottemperamento degli obblighi di legge. Due velocità diverse, e nuove possibilità di partecipazione democratica. Le quali pure, naturalmente, sono e devono essere rigorosamente normate, ma che rendono ridicolmente anacronistica l’esclusione per vizi di forma delle vecchie liste elettorali presentate sotto montagne di carte.

C’è da augurarsi che la situazione sia sanabile, per il bene del confronto politico e democratico. Non è ai giudici, però, che questa volta va chiesto di darsi una mossa, ma alla politica tutta intera. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA