Elezioni, la debacle che fa saltare i piani M5S nel Sud

di Mauro Calise
Lunedì 27 Gennaio 2020, 23:00 - Ultimo agg. 28 Gennaio, 07:17
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Ci sono due dati che si incrociano sullo scacchiere dei prossimi mesi. Quello politico è che si è fermata l’onda d’urto di Salvini – e della Lega – e che il Movimento Cinque stelle appare in caduta libera. Quello istituzionale è che il Pd si tiene stretta l’Emilia Romagna, mentre Forza Italia conquista la Calabria. Letti insieme, questi due risultati, ricalibrano l’Italia uscita dalle elezioni del 18 aprile. Dati entrambi – quasi – per spacciati, i due pilastri della seconda Repubblica hanno dimostrato di essere ancora forti del radicamento passato. 

E questa forza se la giocheranno soprattutto nel rapporto coi - vecchi e nuovi - alleati con i quali – maggioritario o proporzionale che sia – saranno comunque costretti a coabitare. La scelta per i berlusconiani è più semplice. Non hanno mai messo in discussione il rapporto con i leghisti, anche se all’interno del partito ci sono spinte molto diverse tra chi vuole marcare le differenze e chi vorrebbe addirittura una fusione. I risultati di domenica consentono di superare – per il momento – questa impasse. I voti di Forza Italia sono al Sud. E dato che è al Sud che si combattono le due prossime più impegnative – e incerte – battaglie elettorali, Berlusconi si è guadagnato in Calabria la nomination dei due candidati governatori in Campania e Puglia. Il risultato deludente dei competitor – sia della Lega che di Fratelli d’Italia – non lascia molto spazio a soluzioni di altre liste. 

Per il Pd, e il centrosinistra, si apre, invece, una stagione nuova. Sulla carta, sia Zingaretti che Di Maio hanno annunciato una campagna di ricostruzione dei rispettivi partiti. In primavera, Stati generali e Congresso saranno innanzitutto chiamati a sciogliere il nodo che la destra ha già da tempo archiviato: se e in che misura anche la sinistra accetterà di far parte di un «campo comune», o se, invece, prevarranno i distinguo e la pretesa di mani libere che ha segnato questi primi mesi di convivenza tra Pd e Cinquestelle. Questa scelta riguarda da vicino le sorti del governo nazionale. Ma ancora più direttamente investe le elezioni in arrivo in Campania e Puglia. 

Per quanto riguarda Roma, la permanenza sotto lo stesso tetto è, al momento, più obbligata che mai. Con la tagliola del dimezzamento dei seggi più quella del limite del doppio mandato, e con il calo verticale dei consensi, è impensabile che i deputati e senatori pentastellati possano scegliere di sciogliersi. Ed il Pd, ritornato in sella, ha tutto l’interesse a puntellare un governo che già nei dicasteri più importanti – compresa la presidenza del Consiglio – fa affidamento sulla sua esperienza. Quindi, ci si potrà limitare a qualche nobile dichiarazione di intenti per una maggiore sinergia tra alleati, ma senza dovere intervenire sugli assetti di potere in essere. Il contrario delle scelte da fare per le prossime sfide elettorali. A cominciare dalla più importante e aperta, le regionali in Campania.
Le manovre cui abbiamo assistito nelle ultime settimane prevedevano un risultato diverso. Mettevano nel conto la sconfitta del Pd in Emilia e, al tempo stesso, una tenuta più dignitosa dei Cinquestelle in Calabria, la regione dove avevano avuto alle politiche il loro massimo exploit. A quel punto sarebbe stato possibile puntare tutte le carte su una alleanza Pd-Cinquestelle, che mettesse De Luca in soffitta e si proponesse come il laboratorio di una intesa organica tra democrats e M5S, favorita dalla sinistra di Fico e benedetta da De Magistris, secondo lo schema affacciato nelle suppletive per il Senato. Questo copione, numeri alla mano, oggi appare archiviato.

Quale reale contributo di consensi i Cinquestelle sarebbero in grado di portare a questa nuova alleanza vista la debacle subita in due loro regioni simbolo? E con quali argomenti il Pd dovrebbe mettere alla porta un Presidente che ha dato prova, per riconoscimento comune, di grandi doti amministrative proprio ora che Bonaccini ha dimostrato che – in questo tipo di elezioni – sono soprattutto i fatti che contano e non le – astratte – piattaforme politiche? Senza contare che la Calabria ha confermato il peso che il centrodestra conserva nei territori meridionali. Che è il terreno su cui De Luca ha dimostrato di saper competere al meglio, grazie al rapporto diretto con ampie fasce di elettorato. Certo, in una fase di così alta volatilità e turbolenze, le sorprese non mancheranno. Ma l’insegnamento di Calabria e Emilia Romagna è che le alleanze – e le vittorie – si costruiscono pancia a terra sul campo. Non a qualche tavolino romano.
 
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