Elezioni, se ora si apre la competizione sulle riforme

di Mario Ajello
Venerdì 12 Agosto 2022, 00:00 - Ultimo agg. 07:05
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La novità c’è ed è la nascita del terzo polo. Ora si tratta, per Calenda e per Renzi, di non vanificare la chance - quella di un’area di mezzo che possa spezzare il bipolarismo armato e spesso inconcludente in vigore dal ‘94 e poi aggravato dal fardello del grillismo che ha fatto sprecare tempo e credibilità all’Italia - soverchiandola con i personalismi dei due leader. E caricandola di un surplus polemico e di una confusione che farebbe perdere di senso il cosiddetto «polo del buon senso».

Il progetto di Renzi e Calenda può essere utile al sistema Paese come stimolo ulteriore - per tutti i partiti - ad avere un approccio non moderato e flebile ma radicale e coraggioso alle riforme necessarie, di una spinta innovativa in tutti i campi: da quello dello sviluppo economico a quello della modernizzazione infrastrutturale, da quello energetico comprensivo della riconsiderazione dell’opzione nuclearista a quello della semplificazione, della de-ideologizzazione complessiva, del recupero profondo di un’idea unitaria dello Stato concentrata sul superamento del gap tra Nord e Sud che impedisce una crescita vera della competitività italiana. 

In una fase in cui è richiesta la discontinuità, visto che la pandemia ha cambiato tutto e la ricostruzione post-Covid ha bisogno di creatività e di classi dirigenti più attrezzate e lungimiranti (a proposito: non si parla troppo poco del Pnrr in questa campagna elettorale e dell’idea d’Italia che può modellarsi su questa grande opportunità?), una scossa politica come questa del nuovo centro Calenda-Renzi, nella speranza che non si vanifichi in un doppio egotismo, arriva al momento opportuno e può rappresentare un’offerta accettabile dagli elettori moderati che finora si sono sentiti ingabbiati nei due schieramenti classici di questo quasi trentennio di Seconda Repubblica. Nel bipolarismo i due blocchi sono sempre stati sotto ricatto delle ali estreme che poi facevano cadere i governi - si pensi a Bossi contro Berlusconi e a Bertinotti contro Prodi, e a tutte le spinte centrifughe o le gravi irresponsabilità dello stare al governo ma facendo opposizione com’è stato anche nell’esecutivo Draghi che doveva essere di «responsabilità nazionale» - e che sono state la dannazione della recente storia nazionale. Il bipolarismo s’è andato arenando in un arabesco multipolare e in un bi-populismo fatto di continue tensioni, di strappi, di scissioni, di rincorse demagogiche alle fughe degli avversari ma soprattutto degli alleati senza alcuno sforzo di maturazione politica in direzione degli umori, dei pensieri e dei bisogni dei cittadini lontani ormai anni luce dalle logiche politiciste e dall’auto-referenzialità di Palazzo. 

Sarebbe ingenuo credere che l’ottica tridimensionale che il patto Calenda-Renzi prova a imprimere al sistema italiano lo guarisca di colpo dalle sue tare profonde di cui non tutti sono pienamente consapevoli.

Ma intanto può valere come promessa e come scossa. Se rispetterà le intenzioni di partenza. Che non sono tanto il riportare Draghi al governo (lui non vuole proprio) ma ribadire e rafforzare l’idea della politica come servizio nazionale, come esercizio fattuale delle cose per la res publica, come pragmatismo al posto al posto dell’irrealismo, come serietà e come sfida ai conservatorismi arci-italiani (lo sa bene proprio Draghi quanto questi siano forti e paralizzanti) anche nel campo ambientale perché non se ne può più, e ciò è chiarissimo sia a Calenda sia a Renzi, dei no ai rigassificatori e ai termovalorizzatori e dell’inservibile retorica della «decrescita felice». 

Si dirà, per dirla alla francese: “vaste programme” quello della nuova coppia (che comunque già stava insieme da tempo a livello continentale sotto le insegne macroniane di Renew Europe). E magari gli elettori non daranno all’area di mezzo quel riconoscimento che i due leader si aspettano. Questo si potrà sapere solo la notte del 25 settembre. Nel frattempo, l’opzione Calenda-Renzi mette a nudo impietosamente i ritardi della sinistra italiana - il Pd è con Fratoianni e vive con nostalgia la fine magari temporanea dell’idillio con i grillini - e allo stesso tempo fa apparire vecchie e superate tutte le campagna della destra, soprattutto leghista, che non tengono conto delle compatibilità con l’Europa e delle necessità dell’Italia vogliosa non di comizi permanenti ma di assunzione vera di una cultura di governo impermeabile alle sparate e agli show. Togliere voti sia al Pd sia alle destre è l’ubi consistam del calendian-renzismo e la sfida che riguarda i due leader, ma non solo loro, è quella del dire la verità: l’emergenza di questi tempi è quella della lotta all’inflazione (che continua a salire, come ci ricorda l’Istat) ed è probabile che ci vorrà una rinegoziazione del patto di stabilità mentre bisognerà tenere i conti a posto per non perdere i fondi del Pnrr. Questioni assai corpose. Che solo una politica molto professionale può maneggiare. È quella a cui fanno riferimento Calenda e Renzi ma dovranno essere molto convincenti nell’incarnarla agli occhi degli elettori sempre più sfiduciati.
 

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