Le vittime “invisibili” ​dei diritti violati

di Carlo Nordio
Sabato 29 Gennaio 2022, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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Sempre più assorbite dall’elezione al Quirinale e, in misura minore, dalla gestione della pandemia, la politica e l’opinione pubblica hanno pressoché ignorato tre fatti che, in rapida e ineluttabile successione, hanno dimostrato ancora una volta lo sfacelo della nostra giustizia. 

Primo caso. Fausta Bonino, infermiera di Livorno, era stata arrestata nel 2016 con la pesante accusa di aver ucciso almeno 10 pazienti con massicce dosi di eparina; nel 2109 era stata condannata all’ergastolo. Pochi giorni fa è stata assolta dalla Corte d’Assise Appello di Firenze per non aver commesso il fatto, cioè con la più ampia formula liberatoria. «Sono stati - ha detto - sei anni da incubo, con il peso dell’infamia». E il marito ha aggiunto: «Ci hanno distrutti sia emotivamente che economicamente».

Secondo caso. Flavio Briatore, noto alle cronache per una vita brillante e una carriera di successo, 13 anni fa si è visto circondare lo yacht da una flottiglia di finanzieri spediti da un magistrato con un’operazione “coram populo” di ridicola esibizione militare ma di sostanziosa efficacia mediatica. Con l’accusa di evasione fiscale, la barca è stata sequestrata e data in custodia. Tre giorni fa la Corte d’Appello ha assolto l’esuberante imprenditore perché il fatto non costituisce reato, ha annullato il sequestro e disposto la restituzione del natante. Peccato che questo, nel frattempo, fosse stato messo all’asta e venduto sottocosto. La “majesté de la loi”, come la definiva ironicamente Anatole France, era arrivata in ritardo.

Terzo caso. Massimiliano Prosperi, titolare di una media azienda costruita in anni di duro lavoro, era stato arrestato il 25 marzo come mandante dell’omicidio di Sesto Crovini, ucciso a pistolettate un anno e mezzo prima. Trascorsi 132 giorni in carcere, il 27 aprile del 2016 il giudice, con rito abbreviato, gli aveva inflitto 30 anni di carcere, sulla base della dichiarazione di un pentito. Ma in Appello l’accusa crolla, e il 13 giugno 2017 viene assolto. Naturalmente non finisce lì: si va in Cassazione, che conferma il verdetto assolutorio. L’anno scorso Prosperi ha ottenuto, per questo incredibile calvario, il risarcimento di 40 mila euro, nemmeno sufficienti, riteniamo, a sostenere le spese legali. Ma lo Stato non l’ha ancora pagato. Per vivere, oggi Prosperi fa il muratore. 

Come abbiamo detto, questi tre casi assai differenti ma emblematici, si sono risolti quasi contemporaneamente: accanto a loro altre decine di inchieste hanno deturpato la nostra storia giudiziaria e, quel che è peggio, hanno logorato vite, compromesso affetti e dissolto patrimoni.

Certo, c’è di peggio. Nelle dittature, e anche nelle democrazie, alcune vittime sono state riabilitate in via postuma dopo l’esecuzione capitale. Nondimeno queste vicende costituiscono una ferita insanabile per la salute dei singoli e per la fiducia della collettività verso le istituzioni. 

E’ ozioso domandarsi se questi drammi siano imputabili ai magistrati, agli investigatori o al caso. La Storia è piena di errori giudiziari, perché la nostra imperfetta natura non ci ha programmati per giudicare il prossimo, visto che a malapena riusciamo a farlo con noi stessi. E del resto la nostra civiltà nella sua costituzione scientifica, filosofica e religiosa poggia su tre processi conclusi con sentenze inique: Galileo, Socrate e Gesù ne sono illustri testimoni. 

Ciò che invece dobbiamo chiederci è se il nostro sistema faccia il possibile per ridurre questo rischio mortale. E la risposta è nettamente negativa. Nei casi citati, ad esempio, dei buoni rimedi sarebbero stati: a) evitare che decisioni importanti sia sulla libertà personale che sulla destinazione patrimoniale fossero adottate da un solo giudice, e fossero invece devolute ad organi collegiali di magistrati esperti; b) impedire che chi è stato assolto una volta venga riprocessato e magari condannato senza l’intervento di prove nuove; c) ridurre al minimo i tempi dei procedimenti e limitare al massimo la carcerazione preventiva, soprattutto quando il reato non è commesso in flagranza; d) gestire con cautela i beni altrui sottratti al titolare; e infine risarcire le vittime degli errori non solo sollevandole dalle spese legali ma ricostruendo il loro patrimonio che lo Stato, per opera dei suoi rappresentanti, ha incautamente demolito. 

Sono, ovviamente, solo degli esempi, perché c’è molto altro da fare, così come molti altri sono i danni da rimediare. E anche se conveniamo che in questo periodo la stabilità politica, la crisi economica e l’emergenza sanitaria debbano assorbire le energie dei governanti presenti e futuri, ci auguriamo che anche i diritti dei singoli cittadini, bistrattati da questa giustizia vagabonda, vengano adeguatamente considerati. 

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