Abusivismo, la sconfitta ​della legalità

di Erasmo D'Angelis
Lunedì 28 Novembre 2022, 00:00 - Ultimo agg. 06:00
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Quanto meraviglioso paesaggio dell’amatissima Ischia è diventato terra di conquista di cemento abusivo a presa rapida? E dove e come ha colpito l’assalto senza risparmio dei 3 condoni edilizi nel trentennio 1985-2015, più il quarto condono mascherato nelle pieghe della legge 2018 per la ricostruzione del Ponte Morandi di Genova. Soprattutto, come e quando saranno individuati e demoliti gli alloggi costruiti sulle sponde o dentro alvei di fiumi, sopra reticoli idraulici in aree idrogeologiche a vincolo assoluto, su aree demaniali, franose, alluvionali, sismiche?

Ischia sta riflettendo l’immagine dell’Italia con i suoi tanti pregiatissimi pezzi “mangiati” dalla più intensa e febbrile e incontrastata cementificazione che viaggia ancora oggi ad una irresponsabile media di 70 ettari al giorno, con una media di circa 26mila nuovi abusi ogni anno da record assoluto europeo del soil sealing, quell’impermeabilizzazione del suolo, un trend su scala nazionale che ha fatto triplicare in soli 7 decenni il costruito nei duemila e passa anni precedenti: dal 2,9% di territorio edificato pre-1950 all’8,3% di oggi. 

Quanta edilizia spazzatura e illegale si nasconde allora tra i complessivi 14,5 milioni di edifici italiani, con 5.5 milioni in zone 1 e 2 le più sismiche, occupando superfici anche intoccabili di zone a più ad alto rischio alluvioni e frane o vietatissime aree naturali protette? Conoscere per demolire sarebbe la regola, e una banca dati completa e aggiornata degli abusi sarebbe stata certamente utile anche per contrastare la tragedia della frana-killer dal Monte Epomeo.

Ma la prima anomalia italiana è che lo Stato non ha una mappa né cartacea né digitale dei milioni di rilasci del “titolo abilitativo edilizio in sanatoria delle opere esistenti non conformi alla disciplina vigente”. Della serie “incredibile ma vero”. Non esiste un database con le geo-localizzazioni delle case abusive condonate o in attesa di condono o realizzate abusivamente post-condoni. Ma nemmeno cartine regionali o comunali geo-referenziate con dati di dettaglio, comune per comune, con unità abitative, superfici sanate, sanzioni pagate o da pagare. In teoria oggi basterebbe un download e via, ma in un Paese serio.

Chi deve occuparsene? Il Parlamento avrebbe l’obbligo di legge dell’istituzione dell’”Osservatorio sull’abusivismo”, ma le risposte sono sempre vaghe ad ogni interrogazione sul tema, con rinvii di Ministri e Sottosegretari a “verifiche e analisi in corso”. Anche all’ex Agenzia del Catasto, oggi Agenzia delle Entrate, zero carbonella. Così al Demanio dove censiscono le unità abitative suddivise per città, ma non l’effetto-condoni. Così alle Comunità Montane, alle ex Province e alle Regioni. I 7.904 Comuni dell’Anci che pure hanno gestito le sanatorie dovrebbero averli nei loro archivi, ma quasi sempre sono dati sparsi e non “lavorati” e non aggregati, e non tutti li hanno archiviati abbandonandoli dove capitava, visto che non c’erano obblighi nazionali di catalogare il fenomeno. 

Tra i Ministeri, l’Economia dovrebbe aver monitorato il flusso finanziario versato dai condonati, ma non è possibile incrociare i dati e risalire alle quantità e alle localizzazioni dell’edilizia abusiva “miracolata”. E l’Istat, il santuario della statistica? File con tabulati e grafici mostrano numeri di “permessi a costruire” rilasciati nelle varie annualità, ma non dati sulle sanatorie edilizie.

Questo effetto notte su condoni e condonati più che sciatteria, in realtà ha risposto alla logica cinica di chiudere i due occhi sulle illegalità - molti sono stati gli investimenti di mafie e camorre - e lo sfascio provocato in tanti territori per non dover fermare mai la betoniera dell’edilizia più anarchica del mondo.

Ma economicamente sono convenuti allo Stato i condoni? Il primo lo dobbiamo alla Legge 28/2/1985 n. 47 del Governo Craxi, Ministro delle Finanze Bruno Visentini. Lo presentarono garantendo addirittura un gettito nelle casse statali di “circa 5.000 miliardi di lire e la fine del fenomeno dell’abusivismo edilizio, divenuto dilagante”. Con il Ministro dell’Ambiente Francesco De Lorenzo che espresse: “Viva soddisfazione: non abbiamo mai pensato di abbattere le case abusive”, mentre il Cresme, Centro di ricerche di mercato del mondo delle costruzioni e dell’edilizia, calcolava che il solo effetto annuncio fece aprire un formicaio di cantieri che tirarono su almeno 230.000 nuovi manufatti abusivi.

Il secondo condono arrivò il 23 dicembre 1995 dal Governo guidato da Lamberto Dini, Ministro delle Finanze Augusto Fantozzi. L’avvio dell’iter, però, fu definito dalla legge 724 del 23 dicembre 1994 approvata dal Governo Berlusconi, Ministro delle Finanze Giulio Tremonti. Riaperte le cataratte della sanatoria, bastò l’annuncio per far spuntare, riporta il Cresme, altri 220.000 edifici abusivi. L’ultimo fu sempre del Governo Berlusconi, Ministro delle Finanze Tremonti, con la legge 326 di fine 2003, l’unica nella quale hanno avuto il fegato di scrivere le due paroline “illecito edilizio“ all’articolo 32, comma 1.

E arrivò un’altra stesa di cemento senza controlli per circa 300.000 case abusive. 

Aver indotto in tentazione milioni di italiani, rileva il Cresme, nel periodo 1982-1997, sono state edificate circa 970.000 abitazioni totalmente abusive, con un trend edificatorio successivo di 26.000 costruzioni abusive all’anno sostenute dalle promesse elettorali di parlamentari e politici locali ai nuovi condoni in arrivo.

Qual è stato l’impatto di quell’edilizia in zone a rischio idrogeologico e sismiche lo abbiamo visto, lo stiamo vedendo e purtroppo lo vedremo. Ma l’impatto economico di ogni condono? Un vero affare ma solo per gli abusivi. L’incasso complessivo delle sanzioni pagate è stato di 15 miliardi e 334 milioni di euro, ma lo Stato ne ha spesi ben 45 per urbanizzare aree edificate senza strade, servizi e sottoservizi, reti di acquedotto e fognatura, elettricità e gas. I condoni varati ufficialmente “per fare cassa”, in realtà hanno aperto grandi voragini anche nelle casse comunali. I circa 8 milioni di italiani che ne hanno approfittato, avrebbero dovuto versare in media circa 2 mila euro di sanzioni a sanatoria. Ma non tutti hanno pagato. Secondo Cresme-Legambiente, il gettito sarebbe così ripartito: 3,13 miliardi per il primo condono (58% del gettito previsto); 5,19 miliardi per il secondo (71%), e 7,01 miliardi per il terzo (34,5%).

Il mattone selvaggio è servito però in alcuni contesti a coltivare consenso elettorale perché la convenienza economica era evidente: a fronte di 155.000 euro in media per tirar su un’abitazione a norma, con meno di 60.000 euro te ne costruivano una abusiva, e se era in area alluvionale o franosa o sismica, pazienza. 

La presenza della criminalità organizzata è nei decreti di scioglimento di tanti consigli comunali con motivazioni di “diffuso abusivismo edilizio, casi ripetuti di speculazione immobiliare, pratiche di demolizione inevase”. Uno dei sistemi di riciclaggio del denaro sporco è stato proprio questo indotto.

Ma arrivò il quarto condono. Dopo il cluster di terremoti nell’Italia centrale 2916-17 e poi la scossa di Ischia del 1 agosto 2018, la ricostruzione privata è stata molto frenata proprio dall’abusivismo. Lo Stato garantisce risarcimenti totali, ma migliaia di pratiche non sono state né presentate né mai verificate e né concluse con vari tipi di difformità edilizie, urbanistiche, ambientali e sismiche alle domande di contributo presentate agli sportelli degli “uffici speciali per la ricostruzione”, nella maggior parte dei casi neanche asserverate da un professionista.

Sono difformità che i rilievi della Protezione Civile portano sempre in luce e in alcuni centri sfiorano anche la maggioranza dell’edificato da ricostruire con tramezzi spostati, finestre allargate, ampliamenti volumetrici con stanze aggiunte fino al nuove case o intere palazzine o villette a schiera. Ma la legge giustamente non finanzia le opere abusive. L’ultima stima del centro studi Sogea nel 2016 dava 5,4 milioni di pratiche post-terremoti ancora da evadere su 15,4 milioni di domande presentate a partire dalla legge 47/1985.

Ed eccoci alla norma-condono voluta dal governo gialloverde del Conte 1, e nascosta nella legge sul ponte Morandi nel 2018. Agli ischitani regalò la sanatoria per circa mille abitazioni, una parte trascinata nel fango della frana. Luigi Di Maio, allora leader del Movimento, gestì l’inserimento concordandolo con i suoi e con la Lega. La norma porta la firma di Di Maio e dell’allora Ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, e riapriva i termini del condono 1985, quello che sana case realizzate anche in zone a rischio idrogeologico e a rischio sismico.

Nell’isola sono circa 28mila le richieste di sanatoria, e nei comuni di Casamicciola Terme e Lacco Ameno su circa 13mila abitanti le pratiche di condono sono oltre seimila.

Le tre sanatorie 1985, 1994 e 2003 hanno riversato agli sportelli dei Comuni italiani circa 15.431.707 domande di condono: un italiano su quattro, neonati compresi, per illegalità edilizie di varia tipologia, e almeno 5 milioni di richieste sono inevase, di cui 3 milioni relative al condono del 1985. Una gigantesca montagna di carte con dentro, rileva il centro studi Sogeea, almeno 20 miliardi di euro non incassati dall’Erario. Molti abusivi hanno poi versato solo la prima rata, in attesa dei conti definitivi. Per lentezze burocratiche Roma, ad esempio, su 599.793 domande di condono deve smaltirne un terzo e oltre 100 mila pratiche riguardano la prima sanatoria di 47 anni fa! Ma quante sarebbero da rigettare? Quante case dovrebbero essere buttate giù? Chi ci ha provato ad abbatterle, come l’ex sindaco di Licata Angelo Cambiano, fu sfiduciato dalla maggioranza.

La cultura dell’illegalità non ha trovato contrasti. 

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