A Ischia 4 milioni dal 2009, ma opere mai partite: a rischio anche l'ospedale

Soltanto nel 2018 sono stati ultimati i lavori di sistemazione degli alvei

I danni prodotti dalla frana
I danni prodotti dalla frana
di Ciro Cenatiempo
Lunedì 28 Novembre 2022, 00:00 - Ultimo agg. 07:27
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Sbriciolamenti continui, alluvioni storiche, disastri vecchi e sempre nuovi; allarmi, prevenzione, progetti, promesse, soldi mai spesi, mappe e perimetrazioni redatte e abbandonate nei cassetti. E poi, voti, elezioni e amministrazioni saltate come tappi di bottiglia. A Casamicciola, e il limite geografico è indicativo, il vortice della tragedia annunciata incalza le responsabilità stratificate, le opere mai realizzate, le grida perdute nel nulla. Le polemiche feroci, la lotta politica locale, sono instabili come i massi erratici, le pietre da decine di tonnellate che sono scivolate giù a mare come palle da bowling. Sono partite da una località dal nome che è un monito: «I Cantoni», lì in cima alla montagna.

L’allarme più potente, accorato e inascoltato, lo aveva lanciato all’inizio di ottobre l’ingegnere Giuseppe Conte, già sindaco del Comune termale. «Dal 2009 ad oggi – sostiene Conte - sono stati stanziati dei fondi e ci sono stati commissariamenti per il dissesto idrogeologico dell’isola d’Ischia e di Casamicciola. Che cosa si prevedeva? Tre milioni e centomila euro per i lavori al Cretaio, un milione e centomila euro per sistemare gli altri alvei, centottantamila euro per la pulizia degli stessi. Sono tutti fermi». Unica eccezione gli interventi da un milione e centomila euro appaltati dalla Città metropolitana nel 2018.

«Mi auguravo che cominciassero presto – aggiunge - perché a seguito della frana che ci fu alle Terme la Rita sono evidenti i pericoli per l’ospedale di Lacco Ameno, la scuola media e le case popolari.

Ho ripetuto un’infinità di volte che ogni qualvolta c’è l’allerta meteo si dovrebbero prendere provvedimenti mirati». Nulla è stato fatto per mettere in sicurezza i cavoni che dalle colline hanno il compito di far defluire l’acqua piovana a valle. Gli appelli di Giuseppe Conte, figura popolare, conosciuto da tutti come «Peppino» si sono vanificati, nonostante siano stati indirizzati a tutte le autorità: «Neppure il Commissario alla ricostruzione ha ancora redatto un piano per il dissesto idrogeologico».

Alle parole di Conte fa eco Lucilla Monti, la geologa di Casamicciola, la maggiore esperta del territorio. Nonostante sia in pensione dopo una vita professionale spesa in Regione, continua a prodigarsi per fornire sostegno ai tecnici. Le sue conoscenze sono cruciali: ha lavorato anche all’emergenza e al Piano di ricostruzione del dopo sisma del 2017. «Per Casamicciola sono stati stanziati fondi nazionali, regionali e della Città metropolitana di Napoli, nel corso degli ultimi anni, per una serie di interventi di diversa tipologia fermi al palo. Gli esempi negativi non mancano – conferma la geologa – e delineano uno scenario articolato. Il Comune era soggetto attuatore dei lavori di sistemazione di un tratto dell’alveo di Cava Pozzillo, per 95mila euro. Ma non è dato sapere perché non si sia fatto nulla. Analogamente c’era un progetto per la zona di La Rita, a cura della Città metropolitana, ma si è bloccato».

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L’elenco potrebbe proseguire, ma è la realtà geomorfologica che va considerata con assoluto dettaglio, rispetto alle previsioni di interventi previsti sulla carta. «Il versante è denso di impluvi significativi che vanno da la Rita e Lacco Ameno, altri si concentrano verso Piazza Bagni: è una rete idrografica complessa. I grandi massi che si sono staccati dalla zona dei “Cantoni” sono esiti di antiche frane vulcanico tettoniche, e sono tutti in bilico sulla Cava del Celario e la Cava Sinigallia, le aree colpite la scorsa notte. Erano stati monitorati ampiamente». La storia non è stata maestra. La memoria torna al 1910, quando l’alluvione non devastò solo Casamicciola, fece danni enormi da Barano a Forio, dove seppellì la chiesa di Monterone.

Lucilla Monti analizza i fatti: «Dopo il 1910 sono stati messi in sicurezza gli alvei con opere faraoniche, perfette e realizzate in breve tempo. Sono ancora lì. Fino agli Anni ’60 la montagna è stata vissuta, sistemata, pulita periodicamente. Poi, più nulla. Cambiata l’economia, mutata la società locale. I sentieri sono spariti, le sponde degli alvei dilavate e le briglie monumentali che contenevano e riducevano la portata delle acque sono intasate, riempite, inutili. Dopo i fatti di Sarno del 1998 sono state istituite le autorità di bacino. E poi? Bisogna ripartire dalla programmazione seria».

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