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Napoli diventi la città-cantiere delle tecnologie di monitoraggio

di Erasmo D'Angelis
Articolo riservato agli abbonati
Mercoledì 30 Novembre 2022, 00:00 - Ultimo agg. : 06:46
6 Minuti di Lettura

Dovremmo averlo capito dopo quasi 17.000 frane e circa 5.000 alluvioni negli ultimi 70 anni con oltre 6mila morti e oltre un milione di sfollati e 4 miliardi di danni in media all’anno, che il tempo è tutto per mettere in salvo vite umane, beni e territori. È semplicemente inaccettabile star fermi, aspettando la prossima strage. Lo dobbiamo alle vittime e all’immenso dolore che oggi ci fa sentire oggi tutti ischitani colpiti dalla frana, costretti a pagare un prezzo carissimo per la lunga catena di errori e omissioni, e per opere urgenti e finanziate e mai realizzate.

Come i tre progetti previsti dalla Struttura di missione italiasicura di Palazzo Chigi per il “risanamento idrogeologico dei versanti di Casamicciola e Forio”, per “briglie, vasche di laminazione e risagomatura canale tombato via Monterone”, proprio là dove sono scivolate le frane distruttive. Costo circa 14 milioni. Era il 2017. Ma venne il 2018, Italiasicura fu chiusa dal Governo Conte e sostituita con il nulla, e anche quei lavori si sono interrotti, e ne paghiamo le conseguenze.

Ma quante Ischia ci sono in Italia? Si tratta di uno sterminato elenco. 

Un elenco con circa 11 mila “nodi idraulici” e “aree in frana” presenti in 7.423 Comuni, il 93,9%, praticamente tutti, con 1,3 milioni di abitanti a rischio elevato di frane e altri 6,8 milioni di italiani a rischio elevato di alluvioni. Ma l’area multi-rischio più vicina ad Ischia, è Napoli. Eccolo un altro meraviglioso spettacolo naturale che si adagia su 119,02 km2 con 948.850 abitanti e che potrebbe stupirci in positivo. Luogo magico, incastonato in un golfo da incanto, invidiato per le bellezze e le emozioni che contiene e suscita. Ma anche qui la Natura ha voluto esagerare, facendola sovrastare dalla spettacolare montagna del vulcano Vesuvio, e a due passi con il Forum Vulcani o Campi Ardenti dei Campi Flegrei, uno dei più suggestivi incroci selvaggi tra storia, leggende e religione. 

L’adattamento all’immane corpo a corpo contro ogni evento è per i napoletani qualcosa di innato e di unico al mondo. Acqua e fuoco crearono problemi e la prima mitologia già ai tempi dei greci colonizzatori giunti da Rodi cinquemila anni fa con l’insediamento iniziale alla foce del Sebeto, il fiume col nome iniziale del dio Rubeolo primo protettore della città che, nelle fantasie popolari, era l’antagonista del vulcano Vesevo. Che fine ha fatto il Sebeto, che un tempo scendeva placido dalle falde del Monte Somma e attraversava le campagne per dividersi in città in due rami, uno sfociante al Ponte della Maddalena, l’altro alle falde di Pizzofalcone, al porto di Partenope? I racconti antichi lo ricordano ricco d’acqua e pescoso, ma nei secoli subì deviazioni e ostruzioni finché fu intombato fino a farlo scomparire anche dall’immaginario, utilizzato come canale di scarico. Sono lontani i tempi in cui era mitizzato come il “Gigante Sebeto” che si opponeva al “Gigante Vesevo”con scontri furibondi. Se Vesevo lanciava fuoco e fiamme, Sebeto scagliava macigni dalle sue acque. Napoli oggi rappresenta perfettamente l’Italia show room di grandi rischi naturali, plasmata con alle spalle la montagna vulcanica e l’appennino sismico, con la sua configurazione altimetrica. Si colloca fra i comuni italiani a più alta percentuale di superfici artificializzate nei confini amministrativi con il 63% di suolo urbanizzato, con aree a rischio frana molto elevata e elevata per il 14.8% della superficie comunale con 40 mila abitanti circa, aree in pericolosità idraulica media e bassa sulle quali vivono 33.000 persone e a pericolosità idraulica elevata con altri 6.000 abitanti. L’urbanizzazione galoppante ha molto diminuito la capacità di assorbimento dell’acqua piovana e del suo scorrimento. Il sottosuolo è un groviglio di affascinanti cunicoli di acquedotti, catacombe e ambienti ipogei scavati nella roccia tufacea a pochi metri di profondità dai tempi antichi. 

Il Vesuvio è un sorvegliato speciale. Gli scenari di Protezione Civile prevedono in caso di risveglio colossali evacuazioni da zone rosse e gialle abitate da 1.155.000 persone nei vari Comuni vesuviani, verso altre Regioni. La nuova zona rossa comprende i territori di 25 comuni delle province di Napoli e di Salerno, e Napoli con porzioni dei quartieri di San Giovanni a Teduccio, Barra e Ponticelli. Nella nuova zona gialla ci sono 63 Comuni e l’intera VI Municipalità. Che fare? Vanno ridotte prima possibile la scarsa consapevolezza del rischio, l’impreparazione alle azioni da compiere, problemi di una mobilità già congestionata dal traffico ordinario che vedrà spostarsi oltre 300.000 mezzi privati e pubblici nel dedalo di strade tra un formicaio di edifici, centri commerciali, infrastrutture. 

Altra sorvegliata è la zona Flegrea con 24 crateri ed edifici vulcanici con attività fumarolica e idrotermale. I Campi Flegrei sono da sempre anche luogo di ricerca scientifica. Ma se il Vesuvio si vede, il sottosuolo no. E per questo effetto ottico, nei secoli la zona è stata invasa dall’urbanizzazione e qui il piano di emergenza identifica un’altra zona rossa e un’altra zona gialla con 6 Comuni e 24 quartieri di Napoli. 

La sismicità di Napoli fortunatamente non è elevata ma è pericolosa se confrontata alla qualità del costruito. L’area urbana è in zona sismica 2 ma il patrimonio edilizio, soprattutto nel centro storico, è particolarmente vulnerabile per vetustà e realizzazioni con materiali scadenti, tipologie di costruzione, e lo stato di manutenzione. Il 75% degli edifici ad uso residenziale è pre-1980 con classe mediana 1919-1945. La quota di edilizia in muratura è del 51,1%. I beni culturali sono 1.528. Servirebbe una campagna di diagnostica degli edifici con una cantieristica anche leggera con tecnologie non invasive per un programma di adeguamento sismico, a partire dagli edifici a maggior rischio e dagli impianti strategici.

Il rischio di eventi meteoclimatici estremi è altrettanto evidente. Napoli ha subìto 18 eventi dal 2010 ad oggi, con improvvise violente precipitazioni, tempeste e trombe d’aria, mareggiate, inondazioni e frane. Proiezioni del Centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici la evidenziano tra le aree costiere particolarmente vulnerabili. E l’aumento del livello del mare rende indispensabile anche il restyling delle infrastrutture portuali e viarie.

Ecco il punto. Se dalle tragedie può partire quella scintilla che può produrre miracoli, Napoli è oggi perfettamente in grado di fare il “miracolo” della prevenzione, tanto più avendo come primo cittadino Gaetano Manfredi, uno dei massimi esponenti del ricco patrimonio scientifico della città, portando o costringendo i napoletani a familiarizzare con il concetto di rischio accettabile e gestibile, che sembra un ossimoro ma non lo è. È la consapevolezza che un livello di pericolo, ahinoi, esisterà sempre, ma può essere affrontato. Nessun destino impone l’attesa di una eruzione o un sisma o di una frana o di una alluvione, ma la difesa da tali eventi, e il tempo va utilizzato dispiegando l’inesauribile energia della Napoli nei campi della vulcanologia, ingegneria, geologia, architettura, idrologia. 

Nel Dna della città ci sono i Borbone con la “Regia Accademia di Napoli” che dopo i tremendi terremoti con ecatombe del ‘600-700 la resero capitale mondiale della prima edilizia antisismica e delle prime regole costruttive per le “città nuove”. C’è la scuola vulcanica scientifica di eccellenza mondiale, l’Osservatorio Vesuviano è il più antico e il più moderno osservatorio vulcanologico del mondo. E Napoli è l’ambiente ideale per essere la prima area urbana europea per investimenti multi-obiettivo (con fondi disponibili in vari capitoli di investimenti pubblici) per il più grande cantiere urbano di tecnologie di monitoring, piattaforme web-gis con mappe digitali dei rischi, microzonazione sismica, modellistiche idrauliche, controlli in real time dei versanti in frana, proiezioni climatiche anche a lunga scadenza per il miglior adattamento possibile. Lo smartphone può diventare lo “zainetto” digitale a portata di mano di tutti, consentendo a tutti di aumentare il livello di conoscenza dei fenomeni naturali. Il più importante salvavita. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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