Il caso Ischia, una lezione ​per chi spinge sull'autonomia

di Pietro Spirito
Giovedì 1 Dicembre 2022, 00:00 - Ultimo agg. 06:00
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La terribile tragedia di Casamicciola apre molteplici fronti di analisi, anche sul versante dei rapporti tra i poteri pubblici ai diversi livelli istituzionali, centrali e territoriali. Questo tragico accadimento si è verificato nel pieno della discussione sulla autonomia differenziata: questa proposta prova a forzare la mano al regionalismo che oggi ha già spostato il baricentro delle responsabilità in modo sostanziale verso le periferie, svuotando la forza dello Stato. 

Proprio per questa ragione può forse valere la pena di riprendere la discussione sulla autonomia differenziata partendo proprio dalle tematiche che emergono dalla luttuosa vicenda di Casamicciola. Nella politica di tutela del territorio, la difesa del suolo e gli interventi per prevenire il rischio idrogeologico costituiscono una emergenza che va affrontata con ancora maggiore lena, considerata anche l’emergenza climatica che avanza rapidamente. 

Frammentare le responsabilità sui vari territori non sembra l’approccio vincente, mentre in ogni caso vanno messe a disposizione le risorse indispensabili per passare da una gestione tardiva delle tragedie ad interventi di prevenzione.

Una cabina di regia nazionale capace di coordinare le azioni a tutela del dissesto idrogeologico nazionale sembra una soluzione capace di maggiore efficacia, come aveva dimostrato la struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche che ha operato tra il 2014 ed il 2017. 

Il federalismo attuale spesso risolve i potenziali conflitti sul merito delle decisioni tra le istituzioni attraverso la legislazione concorrente tra Stato e Regioni: questo modello consente al massimo di realizzare compromessi al ribasso, quando invece non determina la completa paralisi delle decisioni. 

Proprio il fronte della emergenze idrogeologica rende evidente questo rimpallo di responsabilità. Il vuoto delle decisioni ha generato la proliferazione dei commissariati straordinari. A Casamicciola ne operano addirittura quattro: uno per il terremoto del 2017 (Legnini), che ora lo sarà anche per l’emergenza frane e dissesto; uno prefettizio dopo lo scioglimento del consiglio comunale, uno per gli impianti di depurazione. 

Per la densità dei commissari straordinari comincia quasi ad emergere la necessità di una ulteriore figura di coordinamento tra la folla di figure specializzate nella gestione delle emergenze. Non comanda lo Stato, non comandano i poteri territoriali: attraverso figure terze si prova a surrogare il mancato funzionamento delle istituzioni ordinarie con soggetti teoricamente dotati di poteri speciali; i fatti stanno a dimostrare che non è questa la soluzione.

Più che impostare la discussione sull’assetto dei poteri tra Stato e territori, bisognerebbe innanzitutto guardare la questione dal punto di osservazione dei cittadini, vale a dire partendo dal modello di organizzazione dei servizi e delle politiche pubbliche.

Dopo la prima discussione in Conferenza Stato-Regioni sull’autonomia differenziata tutti hanno convenuto sulla necessità di definire livelli equivalenti di prestazioni per le attività ed i servizi prima di trasferirli eventualmente alla potestà esclusiva delle regioni.

Si tratta, come è noto, di un principio stabilito da molto tempo, che però non si è tradotto sinora in norme, se non in pochi casi. Torniamo a quanto era stabilito dalla legge n. 49 del 2009. I livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi devono essere garantiti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale. 

Assicurare equivalenza di trattamento per i cittadini di tutto il Paese non è operazione semplice. Che sinora non si sia proceduto alla fissazione dei livelli equivalenti di prestazione non è un caso. Prendiamo i servizi di trasporto pubblico locale: differente è assicurare prestazioni omogenee in un’area metropolitana densa rispetto ad una zona rurale interna. La soluzione non può essere solo quella di assicurare una equivalenza di spesa pubblica in termini monetari quanto una equivalenza di trattamento nelle prestazioni: in questo caso si tratta di assicurare tempi di percorrenza sostanzialmente equivalenti in situazioni differenti di orografia, densità ed organizzazione del territorio.

Se passiamo al cruciale settore della sanità, dobbiamo innanzitutto stabilire se privilegiare, come accade oggi, l’ospedalizzazione delle prestazioni oppure se tornare a puntare innanzitutto sull’assistenza territorialmente diffusa, puntando sulla medicina di base e sulla prevenzione. L’impostazione strategica del modello di servizio sanitario non può in ogni caso essere rilasciata alla autonomia dei territori, pena l’impossibilità di assicurare livelli equivalenti di assistenza.

Passiamo all’istruzione: ancora prima di stabilire se questo servizio possa essere affidato alle istituzioni regionali, serve sottolineare che il futuro competitivo dei territori sarà dato dal livello di competenze delle persone. Anche per questa ragione non possono essere trattati allo stesso modo territori che registrano una elevata evasione dell’obbligo scolastico rispetto agli altri: sono urgenti ed indispensabili interventi per recuperare una condizione che poi determina la dispersione scolastica per la società nel suo insieme. 

Nel definire i livelli equivalenti di prestazione occorre in realtà riscrivere i sistemi di welfare nella società del ventunesimo secolo. Prima ancora di parlare di autonomia differenziata è necessario ripensare il meccanismo di erogazione delle politiche pubbliche e dei servizi essenziali, per fare in modo che tornino ad essere un pilastro per la produttività totale dei fattori. È proprio qui che sta il cuore della discussione sinora mai condotta negli anni tempestosi di un federalismo irresponsabile.

L’ideologica contrapposizione tra centralismo e federalismo può essere superata sul versante della efficacia e della efficienza della spesa pubblica. Forse attraverso questa via la politica può riscoprire un suo protagonismo che non sia caratterizzato dalla contrapposizione tra classi dirigenti su astratti schemi di potere. L’urlo di dolore dei morti di Casamicciola dovrebbe risuonare nella discussione sul futuro delle istituzioni.

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