Generali, i conflitti di potere tra Cda a manager

di Andrea Pisani Massamormile
Lunedì 25 Ottobre 2021, 23:44 - Ultimo agg. 26 Ottobre, 06:02
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Il consiglio di amministrazione di un emittente titoli quotati presenterà, a quanto sembra, una propria lista di candidati nella prossima assemblea chiamata ad eleggere il nuovo board. E potrebbe trovarsi a competere con la lista che presenteranno alcuni soci “forti” riuniti in un cosiddetto patto di consultazione. È cronaca finanziaria di questi giorni il caso Generali e l’influenza su di essa da parte di Mediobanca.

È un’ipotesi indubbiamente “curiosa” ed un po’ inquietante, che sta portando all’attenzione anche dei “laici” un problema non nuovo nel mondo della finanza e fra gli studiosi del diritto societario: può il consiglio di amministrazione presentare una propria lista di candidati per il nuovo board?

Alcuni commentatori si sono espressi in senso affermativo e forse perciò questa opzione è presente già da tempo negli statuti di un buon numero (crescente) di Spa quotate ed alcune di queste ne hanno già fatto concreta applicazione. O forse è il contrario: l’opinione dei commentatori è favorevole perché prende prudentemente atto che si tratta di scelta già accolta negli statuti di molti emittenti ed è addirittura riconosciuta dal Codice di Corporate Governance delle società quotate (soft law, è vero; ma molto seguito ed indirettamente vincolante attraverso il meccanismo comply or explain).

Sono indubbiamente interessanti gli argomenti spesi a sostegno della tesi favorevole, ma a ciascuno può affiancarsi una perplessità.

La perplessità è che gli amministratori uscenti conoscono bene il funzionamento interno della società ed il suo business e dunque possono scegliere consapevolmente i loro successori o autoproporsi (è giusto, ma siamo certi che è questo il motivo per cui si industriano a comporre una lista?); questa possibilità li rende più autonomi nei confronti degli azionisti “forti” (insomma: il bello dell’insubordinazione); a fronte del rischio di ben mascherati collegamenti fra la lista del consiglio e quella del o dei soci “forti”, vi sono accorgimenti procedurali idonei a portarli alla luce (a parte le difficoltà obiettive e la reale volontà di cogliere collegamenti adeguatamente occultati, è molto che mi domando se, anziché studiare modalità più o meno complesse per “gestire” i pericoli che alcune libertà consentono, non sarebbe meglio, ancorché impopolare, vietare ciò che è pericoloso); la legge che regola la governance degli emittenti quotati (il testo unico dell’intermediazione finanziaria), pur disciplinando esplicitamente solo la presentazione di liste da parte dei soci, non ne vieta altrettanto esplicitamente la presentazione da parte di terzi (d’accordo, ma è innegabile che il voto per liste è storicamente ed obiettivamente funzionale a consentire che anche la minoranza o, meglio, le minoranze siano rappresentate nella “stanza dei bottoni”, forse più per recepire informazioni che per parlare).

Dunque, benché nessuno si spinga ad ignorare le ombre, secondo autorevoli opinioni la presentazione di una lista da parte del consiglio uscente sarebbe opzione lecita e potrebbe anzi procurare vantaggi. È tuttavia prassi che a me non piace.

Non mi piace che, sia pur grazie ad ammirevoli argomentazioni, un istituto nato per altri fini, divenga arma da impiegare in quello che inevitabilmente è un conflitto di potere; non mi piace che qualcuno possa scegliersi i propri successori o rinominare se stesso e non mi piace che possa esservi questo sospetto o che si consenta il rischio di assicurarsi per il futuro occhi compiacenti; non mi piace che questo modo di utilizzare il voto per lista non sia adeguatamente regolato e sia lasciato invece alla fantasia degli operatori e di abilissimi consulenti. Ed anzi meriterebbe una disciplina un aspetto particolare e tutt’altro che trascurabile: bisognerebbe verificare come portare alla luce eventuali accordi sul punto fra gli amministratori ed alcuni soci; domandarsi se e quando questo accordo possa dar luogo per le società quotate, su cui la Consob vigila con attenzione, a quell’azione concertata che, a sua volta, in presenza delle condizioni di legge, potrebbe imporre il lancio di un’o.p.a. È giuridicamente corretto, infatti, dire che questo accordo non avrebbe comunque ad oggetto il voto, ma si rischia così di adottare l’atteggiamento dello struzzo: come ignorare che un accordo di questo tipo consentirebbe il risultato che rende prezioso il voto e cioè la nomina di propri agents? Prassi (forse) legittima, dunque, ma inopportuna. Si dice che è necessaria un’educazione finanziaria di base. A parte la decadenza che questa esigenza a mio parere rivela (non ho spazio qui per spiegarmi), il primo capitolo di questa educazione dovrà essere destinato a comprendere i meccanismi di governance interni agli emittenti quotati.

* Avvocato e Professore ordinario di Diritto
Commerciale all’Università Orientale di Napoli

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