Genny ammazzato in una «stesa»
vendetta per un agguato a Miano

Genny ammazzato in una «stesa» vendetta per un agguato a Miano
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 26 Settembre 2016, 23:46
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 Fu una notte di fuoco - nel senso criminale del termine - la notte in cui venne ucciso Gennaro Cesarano. Agguati organizzati e improvvisi cambiamenti di scena; tentati omicidi non riusciti e un ragazzino ucciso – si fa per dire - per errore. Eccolo il retroscena della morte del 17enne Gennaro Cesarano - Genny per gli amici -, colpito a morte un anno fa, mentre si attardava sotto casa, lì in piazza della Sanità. C’è una pista agli atti delle indagini del pool anticamorra, qualcosa in più di una semplice ipotesi investigativa buona per tenere aperto un fascicolo.

No, questa volta agli atti dell’inchiesta sulla morte del diciassette finisce il verbale di interrogatorio del boss pentito Carlo Lo Russo. È lui a spiegare il retroscena della cosiddetta «stesa» messa a segno all’alba del sei settembre di un anno fa, è lui a sgomberare il campo da altre suggestioni investigative: Genny Cesarano non è stato ammazzato perché amico di un piccolo delinquente di quartiere, a sua volta rimasto imbrigliato negli scontri al San Paolo, quelli di Napoli-Sampodoria dell’agosto del 2015, quando in curva gruppi di supporter azzurri se le diedero senza un motivo.

No, qui il calcio e il tifo violento non c’entrano. Né c’entra la paranza dei bimbi, quelli di Pasquale e Emanuele Sibillo, con la scia di sangue che ha terrorizzato Forcella e parte dei Decumani. C’entra invece la camorra dell’area nord, quella che porta all’unico canale che conta in merito allo spaccio di droga, al corridoio che unisce il centro cittadino con le piazze di spaccio di Scampia e Secondigliano. In sintesi, a detta di Carlo Lo Russo, ad uccidere Genny Cesarano sono stati killer dello stesso gruppo dei Lo Russo, mandati in fretta e furia alla Sanità in quella maledetta alba di fuoco e violenza, per vendicare un affronto subìto poche ore prima, con una «stesa» messa a segno a Miano, via Ianfolla, fino a qualche tempo fa feudo dello stesso boss-pentito.

Un botta e risposta in piena regola, che ha lasciato a terra un ragazzino di 17 anni, colpito da un proiettile esploso da quelli di Miano, dai «capitoni» del clan Lo Russo, nel tentativo di uccidere (o di intimidire) qualcuno del clan di Pietro Esposito. Un particolare che emerge dalla misura cautelare a carico dello stesso Carlo Lo Russo e dei presunti killer finiti in cella come responsabili dell’omicidio dello stesso Pietro Esposito. Un omicidio - quello di Pierino Esposito - che sarebbe stato messo a segno a novembre, due mesi dopo l’agguato del sei settembre, che ebbe invece come unica, sciagurata, conseguenza quella di uccidere il 17enne. Ma restiamo al verbale, sulla scorta di quanto si legge nella misura cautelare firmata una decina di giorni fa dal gip Francesca Ferri.

Poche righe che svelano la nuova pista battuta in questi giorni dalla Dda di Napoli sulla fine riservata al piccolo Genny: «Come ho già detto era tempo che cercavamo di uccidere Pierino, si consideri che lui oltre a fare la stesa a settembre la notte in cui è morto Cesarano, in precedenza quando ero ancora detenuto, aveva sparato alle finestre di Giulio De Angioletti». Eccolo il retroscena, ecco lo sfondo che emerge da pagine di omissis, su cui sono ora al lavoro i pm anticamorra: «La notte in cui fu ucciso Cesarano c’era stata una stesa», dice il boss pentito. Inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Filippo Beatrice e dal pm Enrica Parascandolo, c’è una concatenazione di eventi tutta da approfondire.

È la notte tra sabato e domenica, quando quelli della Sanità vanno a sparare sotto casa del boss Carlo Lo Russo, uno dei fondatori della dinastia criminale dei «capitoni» che, in quel periodo, era stato scarcerato solo da qualche settimana. Una sorta di avvertimento da parte del clan della Sanità, contro quelli di Miano, dal significato fin troppo evidente: solcare le proprie sfere di dominio in materia di traffico di droga, mantenere le distanze con quelli di Miano, impedire delle invasioni di campo. Ed è così che si apprende che poche ore prima della morte di Genny, un commando di killer si arma per andare a fare «il saluto» al boss scarcerato dei «capitoni». Sono quelli del gruppo di Esposito-Genidoni, a loro volta implicati in altri fattacci di nera avvenuti pochi mesi fa. Ricordate le telefonate in casa di Antonio Genidoni a Milano?

Conversazioni che tengono in cella Genidoni come mandante degli omicidi di Giuseppe Vastarella e Salvatore Vigna, all’esterno di un circoletto di Materdei, appena pochi mesi fa.
Una scia di lutti su cui oggi si comincia a fare chiarezza. Dopo l’agguato sotto casa di Carlo Lo Russo, immediata è stata la replica dell’allora boss dei «capitoni». Sono da poco passate le quattro quando da via Ianfolla parte un commando di guerra, che ha il compito di rispondere alla «stesa» subita. Vanno all’esterno di un circoletto della Sanità, a pochi passi dalla «chiesa del monacone», e ricambiano la cortesia: una decina di spari, un proiettile uccide il 17enne Gennaro Cesarano. Ucciso in una «stesa», colpito a morte per errore, in uno scenario investigativo che ora attende risposte investigative a stretto giro.
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